Zingarelli e Napoleone
Nel 1811 nelle chiese di tutto l’impero francese si levarono i Te Deum per festeggiare la nascita del re di Roma, il figlio di Napoleone Bonaparte e della sua seconda moglie Maria Luisa d’Asburgo-Lorena. Qualcosa però andò storto a Roma. Qui autorità e popolo s’erano radunate alla Basilica di San Pietro. Il tempio era parato per la circostanza, ma sulla tribuna non v’erano nè cantanti, nè musicisti, nè il mestro Nicola Antonio Zingarelli che avrebbe dovuto dirigerli.
Bonaparte fu un grande estimatore della musica, lo testimonia il teatro che fece erigere nella nuova ala da lui voluta al Palais des Tuileries. Si innaugurò il due febbraio del 1806 e vi furono da subito deputati otto cantanti e ventisette musicisti diretti dal maestro tarantino Giovanni Paesiello. Non fu questi l’unico italiano che seppe ammaliarlo con le note musicali. Napoleone s’innamorò al primo ascolto anche del parmense Ferdinando Paer e ne fece prima compositore di corte e poi, nel 1812, direttore del Theatre-Italien di Parigi in sostituzione del marchigiano Gaspare Spontini, anch’egli voluto dall’imperatore. Marchigiani eran pure Girolamo Cresentini, insignito dell’Ordine della Corona di Ferro della Lombardia e nominato maestro di canto della famiglia imperiale, e Angela Catalani, soprano di pregevole voce, a cui Napoleone pagò un compenso di cinquemila franchi per soli due spettacoli nel Castello di Saint-Cloud, il 4 e l’11 maggio 1806, e poi le attribuì pure una pensione a vita di milleduecento franchi.
Il rapporto col napoletano Nicola Antonio Zingarelli fu però molto difficile. Il celebre maestro di cappella non volle in alcun modo piegarsi al volere di Napoleone e rifiutò di dirigere il Te Deum e rendere grazie al Signore per la nascita di un re che non riconosceva suo. Scoccata l’ora stabilita, semplicemente non si fece vedere in chiesa. I magistrati, i vertici dell’esercito, la nobiltà ed il clero erano tutti presenti, ma il maestro di cappella no. Zingarelli restò impassibile anche davanti alle minacce risponendo: “Se dovessi battere il tempo del Te Deum per la nascita del figlio dell’Imperatore Napoleone, lo farei per adempiere l’obbligo annesso alla mia carica di maestro in San Pietro; ma per solennizzare la nascita del Re di Roma, no, davvero no! Perchè io non conosco altro Re di Roma che il Sommo Pontefice Pio VII da cui ebbi questo uffizio”.
Una tale disubbidienza non poteva però passar liscia e il prefetto l orinchiuse prima in Castel Sant’Angelo poi nelle carceri di Civitavecchia. Quando seppe di tali provvedimenti, Napoleone volle intervenire in prima persona. L’imperatore scrisse un messagio al prefetto di Roma e il tenace Zingarelli fu di punto in bianco preso dai gendarmi e condotto dal generale Miollis, che allora era di stanza a Roma. Gli fu così comunicato il da farsi, doveva trasfrirsi sedusta stante in Francia. Il maestro fu spedito, sotto buona scorta, a Parigi e, una volta giunto nella capitale, alloggiò in un discreto appartamento. Solo dopo otto giorni qualcuno gli fece visita.
Si trovava in quel frangente a Parigi anche la duchessa di Cassano, prima dama d’onore della regina di Napoli, Maria Carolina Murat. A quanto pare fu lei ad ammansire ulteriormente Napoleone e a ben disporlo nei confronti di Zingarelli. La duchessa perorò la causa del maestro e Napoleone alla fine si decise a commissionargli alcune opere.
Zingarelli fu raggiunto, inaspettatamente, il cardinal Joseph Fesch, gli aprì la porta, lo fece accomodare e le parole che gli sentì pronunciaare lo sorpresero non poco. L’uomo disse d’esser venuto a nome di Bonaparte, poi passò a sciorinare una lunga serie di inattesi elogi e, infine, gli mise sul tavolo mille scudi a titolo di compenso pel viaggio intrapreso non per propria volontà. Spiazzato l’italiano accettò quel denaro e vide così scomparire Fesch.
Trascorsero due lunghi mesi in cui più volte Zingarelli si chiese cosa dovesse fare lì a Parigi, allorchè l’uomo inviatogli dal cardinale gli si presentò proponendogli un lavoro. Gli fu commissionata una messa solenne con coro e sinfonia. Zingarelli strabuzzò gli occhi. Non poteva credere alle sue orecchie, Napoleone gli proponeva un lavoro, a lui che l’aveva sfidato a Roma, davanti a tutta la città! Il maestro dissimulò un tono attezzoso e borbottò: “Accetto perché una messa non è il Te Deum!”. Dopo otto giorni Zingarelli l’aveva già pronta. La musica della messa piacque tantissimo all’imperatore che, incontrata la duchessa di Cassano, le disse: “E’ purtroppo vero che questo vostro compatriota è un buon compositore, è un grande artista, ma è altrettanto vero che è un uomo fatto di ferro e può spezzarsi, ma non si piega”. Per quel lavoro Zingarelli ottenne da Napoleone cinquemila franchi.
Più tardi gli fu detto di vestir di note musicali cinque versetti dello Stabat Mater e ancora una volta Zingarelli accettò l’incarico. Il nuovo componimento fu cantato nel Palais de l’Élysée dal Crescentini, da Adolphe Nourrit e dalle soprano Branchu e Armand. Un mese dopo però, Zingarelli fece sapere al cardinale Fesch, che i suoi obblighi di maestro di cappella nella Basilica di San Pietro lo richiamavano a Roma, anzi precisò che gli sarebbe piaciuto ritornare a Napoli.
Grazie ancora alla duchessa di Cassano, Bonaparte acconsentì e in più, con una sua lettera autografa, lo raccomandò al cognato, il re Gioacchino Murat, affinchè gli affidasse un ruolo di prestigio nel suo regno. Napoleone inoltre gli conferì una pensione statale. Giunto a Napoli nel 1812, Zingarelli entrò nella direzione del Real Collegio di Musica di Napoli assieme a Giovanni Paisiello, Giacomo Tritto e Fedele Fenaroli. Nello stesso anno diventò unico direttore del Conservatorio.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografi: F. Florimo, Cenno storico sulla scuola musicale di Napoli