Vincenzo Gonzaga, IV Duca di Mantova e II di Monferrato
Il Duca Guglielmo Gonzaga volle che suo viglio Vincenzo sposasse Eleonora de Medici, figlia di Francesco, Granduca di Toscana, che recò in dote 300,000 scudi d’oro. Era il 1584. Eleonora aveva 17 anni, Vincenzo Gonzaga ne aveva 22 anni ed era al suo secondo matrimonio dopo l’annullamento di quello con la tedicenne Margherita, figlia del Duca di Parma, Alessandro Farnese.
Vincenzo, IV Duca di Mantova e II di Monferrato, era grande estimatore ed amico di Torquato Tasso, perorò la sua causa e ne ottenne la liberazione prendendosi poi cura della sua sorta. Fu uno dei più illustri letterati da lui favorito. Uomini di cultura, giureconsulti di fama, scienziati ed artisti fecero di Mantova, negli anni del governo di Vincenzo Gonzaga, un radioso centro umanistico.
Il Duca di Mantova, infatti, si circondò sempre di insigne figure anche in politica, come i Petrozzani, i Cattani, i Donati, i Pomponazzi, i Gattici, i Chieppi. In tutto ciò dilapidò anche enormi quantità di denaro. Si racconta che in occasione dei festeggiamenti per il matrimonio del Granduca Ferdinando de Medici con Cristina di Lorena, sprecò in pochi giorni 100,000 ducati in lussi e giostre. In egual modo a Mantova investì grandi somme per circondarsi di cortigiane ed artisti di teatro. Già alla cerimonia d’insediamento, scrive Romolo Quazza, “si presentava al suo popolo in una preziosa veste di raso bianco, sulla quale teneva un manto dello stesso tessuto, ornato di perle e lamine auree, portando in testa una corona sormontata d n brillante di straordinario valore e costellata di gemme”. Di quel giorno “si discorse un pezzo per tutta Italia, e dei bicchieri di cristallo gemmati e legati in oro, dei piatti d’argento e d’oro, delle tovaglie di merletto, delle portate regali. Le porcellane trasparenti che si servivano alle tavole dei baroni e dei gentiluomin (per il Duca si usava solo l’oro e l’argento) non erano riportate in cucina ma spezzate: per giovialità dice un cronista; e subito sostiuite con altre più leggere e delicate. Dall’alto, dietro una ringhiera dorata, i musici versavano sui convitati concerti di strumenti o di voci. Il convito durò sei ore… Era notte, quando ad un segnale, finestre e balconi si popolarono sul lago s’avanzò un castello imbandierato irto di torrioni e baluardi, e i fuochi d’artificio composero una pirotecnica allegoria negli episodi obbligati dell’assalto al castello, dell’incendio e del trionfo finale” (M. Bellonci, I segreti dei Gonzaga).
Non mancò d’essere, però, generoso coi poveri, per esempio fornì assistenza alle vittime dell’inondazione del Po al Serraglio, il 16 ottobre del 1587. Fu pure attento ad abbellire Mantova e a rilanciarne le manifatture di lana e seta, ricostruì l’armeria andata distrutta in un incendio, fece ultimare i lavori del coro di Sant’Andrea e della Cripta e portò nuove reliquie di santi dalle Fiandre che donò alla Basilica di Santa Barbara.
Per tutelare la quieta convivenza tra culture palcò l’ira della folla che s’era sollevata contro gli ebrei e dispose che “entro un anno gli ebrei dovessero dimettersi dal possesso di ogni lor tenimento stabile, circoscrivendo la loro attività al commercio e all’industria, nè soggiornasser fuori di Mantova o dei castelli. Poi divietò ai cristiani di alloggiare nel Ghetto; e fu statuito che i quattro ingressi a quel ghetto, rimaner dovessero chiusi con portoni durante la notte” (B. Arrighi). nacque così di fatti il ghetto che soltanto alla morte del duca sarà realizzato.
Il Duca Vincenzo Gonzaga fu uno degli uomini più rappresentativi della sua epoca, uno splendido principe rinascimentale. Potè avvalersi delle floride casse lasciategli dal padre, uomo totalmente diverso da suo figlio, lui di bell’aspetto, ilare e passionale, l’altro introverso e gobbo, eredità lasciata dai Malatesta.
Accrebbe anche i domini di famiglia. La città di Alba gli si consegnò liberamente e prese possesso del Castello di Rodigo e della Contea di Rivalta. Fu pure ligio ai doveri militari: combattè i turchi che minacciavano Vienna inviando millequattrocento cavalieri che condusse di persona, affiancato a Fernando d’Avila, Vescovo d’Ascoli, che custodiva parte della preziosa reliquia mantovana del sangue di Cristo.
Morì nel 1612 e con solenni esequie venne tumulato nella cripta della Basilica di Sant’Andrea, accanto alla moglie. Nel suo testamento aveva disposto di essere sepolto seduto su un trono in marmo con a fianco la sua spada.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia: G. Vigna, Storia di Mantova; R. Quazza, Mantova attraverso i secoli; B. Arrighi, Storia di Mantova e sua provincia