Urbino, culla del Rinascimento
Sebbene Pipino il Giovane avesse donato i territori di Urbino a Roma, la città serbò sempre tradizioni autonome, fino a quando, intorno al 1200, entrò in possesso dei Montefeltro. Tra i potestà dell’epoca spicca infatti Bonconte di Montefeltro, assurto alla carica nel 1213. Nelle lotte tra guelfi e ghibellini, i Montefeltro si schierarono coi secondi e, nelle Marche e nelle Romagne, capeggiarono il partito filoimperiale.
Federico III, duca di Urbino, si affermò come abile condottiero ed astuto diplomatico nella seconda metà del Quattrocento. La sua vita non fu certamente esente da ombre, in primis dal sospetto d’essere stato il mandante della congiura che nel 1444 portò all’omicidio del fratellastro Oddantonio, succeduto al padre soltanto l’anno prima e fatto fuori per la sua politica fiscale oppressiva ed il brutto vizio di molestare le altrui signore. Seppure non siano state mai trovate prove certe del suo coinvolgimento, gli indizi furono però univoci, a partire dal fatto che già l’indomani di quell’assassinio Federico si fece trovare pronto alle porte di Urbino per entrare trionfalmente in città dove, anziché punire i rivoltosi, concesse un’amnistia generale, timoroso del fatto che qualcuno potesse parlare. Prese poi anche discretamente parte all’organizzazione della Congiura dei Pazzi, per disfarsi di Lorenzo de’ Medici, suo pericoloso avversario. Tuttavia, in tempi in cui si andavano definendo i concetti di condotta politica che qualche decennio più tardi il Machiavelli avrebbe descritto nel suo “Principe”, il ricorso a metodi moralmente discutibili era giustificato dal fine superiore consistente nella volontà di procurarsi uno Stato e soprattutto di mantenerlo. In ciò Federico riuscì perfettamente, grazie al suo acume politico ed alle capacità militari che gli permisero d’ingrandire di tre volte i confini del suo Stato, tanto da meritarsi il titolo di Duca conferitogli nel 1474 da Papa Sisto IV.
Tuttavia, Federico fu anche un grande mecenate. Consegnò ad Urbino un posto speciale nella costellazione delle signorie italiane. Piccolo centro racchiuso tra le colline dell’Appennino, la città si trasformò rapidamente nella culla del Rinascimento. Alla corte dei Montefeltro lavorarono Piero della Francesca, Francesco di Giorgio Martini e Giovanni Santi, il padre di Raffaello. Secondo le descrizioni di Baldassare Castiglione la corte dei Montefeltro fu l’esempio più fulgido di corte rinascimentale italiana. Nella sua opera, infatti, Il Cortigiano, Castiglione prese a modello l’ambiente urbinate per descrivere usi e costumi del perfetto cortigiano.
A Urbino, Federico di Montefeltro commissionò la costruzione di una grande biblioteca, forse la più grande d’Italia. Si calcola che prima del 1464 i codici manoscritti presenti alla corte urbinate non superavano il centinaio; nel 1482 alla morte di Federico, la collezione comprendeva oltre 900 volumi, dei quali 600 in latino e volgare, 168 in greco, 82 in ebraico 2 in arabo. Il duca poi fece erigere un vero e proprio gioiello architettonico, il Palazzo Ducale “secondo la opinione di molti, il più bello che in tutta Italia si ritrovi – riferì Baldassarre Castiglione – e d’ogni opportuna cosa sì ben lo fornì, che non un palazzo, ma una città in forma di palazzo esser pareva”.
I suoi interessi accademici erano classici, in particolare storia e filosofia, ma non solo. Giovanni Santi gli dedicò una cronaca in rime in cui il duca fu descritto come un grande conoscitore dei principali pittori del suo tempo, italiani e fiamminghi. Federico fu pure magnanimo coi suoi soldati, occupandosi con le proprie finanze della cura dei feriti, delle pensioni per le vedove, delle doti per le figlie orfane. Vagava spesso per le strade di Urbino disarmato e incustodito, ben voluto dalla sua gente. Era decorato con quasi tutti gli onori militari, persino Edoardo IV d’Inghilterra lo volle cavaliere dell’Ordine della Giarrettiera. Quando Pio II, altro amante delle arti, della cultura, delle scienze, divenne papa, nel 1458, lo volle Gonfaloniere di Santa Romana Chiesa.
Gli successe il figlio Guidobaldo da Montefeltro, che sposò Elisabetta Gonzaga, la brillante e colta figlia di Federico I, signore di Mantova. Sotto il suo dominio, la corte divenne la più raffinata ed elegante tra le piccole corti del centro Italia. Urbino divenne un punto d’incontro per la cultura diretta e gestita dalla duchessa e da sua cognata Maria Emilia Pia. Il Baldi racconta “non solamente eravi aperta la scuola delle Muse, ma di Pallade insieme e di Marte”. La città l’Ariosto, il Bembo, il Bibbiena, l’Aretino, il Marini, i più grandi spiriti italiani dell’epoca animarono la città. Per lungo tempo Urbino restò quella del Cortigiano di Castiglione, simbolo di una corte in cui il fine del potere non era il potere stesso, ma una civiltà superiore.
Con la morte di Guidobaldo nel 1508, il ducato passò alla famiglia papale dei Della Rovere. Papa Sisto IV, infatti, volle far sposare suo nipote Giovanni Della Rovere con Giovanna da Montefeltro, figlia di Federico. Così però si avviò a scomparire ogni velleità di indipendenza. Con Francesco Maria II della Rovere il ducato si estinse e finì nelle mani di Urbano VIII, tramutato in legazione. A testimonianza di una libertà scomparsa, sotto il dominio di papa Alessandro VII, la biblioteca costruita da Federico di Montefeltro fu portata a Roma. Fu forse un caso se nei moti del 1860 Urbino fu tra le prime a cacciare le truppe pontificie?
Autore articolo: Angelo D’Ambra