Una testimonianza su Gabriele De Rosa, intervista a Elio Franzin
Avendo pubblicato su Historia Regni alcuni articoli dedicati all’intransigentismo cattolico, chi scrive ha ritenuto interessante proporre ai lettori anche un contributo sulla figura di uno dei massimi studiosi dell’argomento: lo storico campano Gabriele De Rosa, nato il 24 giugno 1917 e scomparso l’8 dicembre 2009. Nel colloquio che presentiamo al lettore è emersa anche la triste vicenda de La rivincita di Ario, un libello contro gli ebrei scritto da De Rosa nel 1939 su richiesta del Gruppo Universitario Fascista di Alessandria e poi rinnegato con pubbliche scuse: «l’avevo fatta grossa». In quello scritto giovanile, razzismo e cattolicesimo sono associati in maniera paradossale e contraddittoria con l’obiettivo di difendere la politica fascista, definita: «nella sua ultima essenza nuova cattolicità, genio cristiano». Tra queste pagine parecchi deliri lasciano sbigottiti, come la riflessione sul significato della guerra civile spagnola: «Riferendoci poi ai nostri giorni, tutti sanno che noi combattiamo in terra di Spagna non l’iberico nemico, ma la terza internazionale ebraica, quella creata dall’ingegno massonico-giudaico del Komintern».
Durante la seconda guerra mondiale, il futuro accademico partecipò alla campagna in Africa da universitario volontario e combatté a El Alamein. Con la vittoria inglese, lo storico visse una crisi esistenziale, che lo portò, dopo l’8 settembre, a partecipare alla resistenza come ufficiale badogliano.
De Rosa è stato impegnato sin dagli anni ’50 nella ricostruzione della storia sociale e religiosa veneta; avendo assistito egli stesso a una grande quantità di cambiamenti culturali, visse con lucidità la sua missione di storico e osservò i mutamenti che lo circondavano con un contegno che affondava le radici nella sua fede e nella consapevolezza che nasce dalla lettura delle Sacre Scritture. Nel 1966 in un suo appunto scrisse: «ho capito che noi dovevamo fare una raccolta di fonti, e non una descrizione di fondi e di archivi, dovevamo e dobbiamo dare conto del materiale che occorre per la vita della Chiesa nel passaggio da una società in cui essa era ancora tutto, a una società civile che dalla Chiesa si separa sempre di più».
La presente intervista cerca di fornire delle notizie sul De Rosa cattolico e ricercatore ponendo alcune domande a chi lo ha conosciuto di persona: il professor Elio Franzin di Padova, studioso di storia veneta, del pensiero del filosofo federalista Silvio Trentin (1885-1944) e delle mura cinquecentesche patavine.
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Buongiorno e grazie innanzitutto del tempo che ci mette a disposizione. De Rosa nacque a Castellammare di Stabia, ma è stato professore di storia contemporanea all’Università di Padova.
Per un periodo breve [iniziò a insegnare nel 1964 e nel 1966 decise di rientrare all’Università di Salerno], ma lo conoscevo già da prima che venisse a insegnare qui. Lo avevo conosciuto qui a Padova, studiando i cattolici veneti (argomenti come i preti agronomi e i cristiani come forza sociale…). Studiavo i cattolici fuori dagli schemi del PCI, secondo un approccio gramsciano. Sono stato anche criticato per alcuni articoli che scrissi sui cattolici trevigiani e su Giuseppe Toniolo (1845-1918), perché secondo un commentatore anticlericale avevo parlato “troppo bene” dell’economista cristiano. Gli argomenti di cui io e De Rosa ci occupavamo convergevano, anche se ovviamente io ero un novizio e lui un gigante.
De Rosa studiava i cattolici a 360°, e in Veneto aveva stabilito innanzitutto degli importanti legami con Vicenza, dove c’era Mariano Rumor.
Riguardo i cattolici intransigenti, i suoi studi sono ancora imprescindibili, indispensabili per chi vuole fare ricerca.
Perché aveva individuato un campo di studio e aveva un programma: tutto ciò che hanno compiuto i cattolici sul piano politico e sociale andava studiato. E l’ha fatto!
Che rapporto ebbe con Padova?
Ha insegnato per poco, è stato allontanato. Nel 1965, per il ventennale della Resistenza, fu costituito un comitato in cui figurava anche il nome di De Rosa, e su l’Espresso apparve un articolo di protesta, che all’epoca non compresi.
De Rosa aveva un rapporto di amicizia e collaborazione con il professor Letterio Briguglio (1921-2016), un siciliano che peraltro fu aprifila di alcuni filoni di studi sul movimento operaio e i socialisti in Veneto. Fu a lui che scrissi chiedendo notizie sul “caso” e mi spiegò la questione de La rivincita di Ario, un libello antisemita del 1939 che De Rosa aveva stampato con il Gruppo Universitario Fascista di Alessandria. Fino a poco tempo prima non erano in molti a sapere della faccenda. Però – conoscendolo – credo che De Rosa si considerasse più un poligrafo che un ideologo: gli hanno detto di scrivere un testo sugli ebrei e lui l’ha fatto, fu un errore gravissimo e purtroppo non isolato, pensando a quanti in Italia hanno scritto libri simili.
La rivincita di Ario fu diffuso a Padova in fotocopia (1), ma io ho sempre rifiutato di leggerlo, con me De Rosa è stato sempre correttissimo e quello è stato un suo sbaglio di gioventù. Quanto alla situazione spiacevole in cui si trovò a causa dell’articolo, io ero giovane e non capivo nemmeno quanto gli costassero in termini economici le sue ricerche. A Padova gli hanno voluto rendere la vita difficile e penso che la questione sia dipesa anche da Enrico Opocher (1914-2004), estremamente sensibile al tema dell’antisemitismo perché molto vicino all’ambiente ebraico cittadino.
Ma a Padova strinse anche dei legami positivi?
Certamente, De Rosa – tra le altre cose – a Padova diede risalto a Silvio Lanaro (1942-2013), impegnandosi perché fosse pubblicato. Lanaro era un uomo molto intelligente. Il rapporto De Rosa-Lanaro nacque dal fatto che il secondo studiava la provincia di Vicenza (l’industria Lanerossi, con tutti i suoi nessi storico-culturali).
Lanaro è stato autore di studi notissimi sul Risorgimento in Veneto, ma perché non ha dedicato la stessa attenzione ai cattolici intransigenti in regione (almeno come esponenti dell’Antirisorgimento), che rappresentano un nodo non trascurabile da sciogliere?
Perché questo non rientrava nei suoi interessi. Lanaro era essenzialmente convinto che la storia la muova l’industrializzazione, e che il mondo contadino viva un progressivo esaurimento. Ciò deriva anche dai suoi studi sulla Lanerossi di Vicenza. Era un uomo della sua epoca, non si curava di quelle che oggi sono le “questioni ambientali” e, a mio giudizio, non si interessava sufficientemente della dimensione geografica. Nei suoi libri non rintraccio le coordinate geografiche. Ad esempio nella sua celebre opera sul Veneto trascura il Polesine, era uno storico delle idee, non dei contesti. Ma cerchiamo di capirci, per comprendere la storia del Polesine bisogna fare i conti col territorio, coi braccianti, coi polesani che non avevano da mangiare.
Al di là dell’increscioso episodio padovano che ci ha descritto, lei come inquadrerebbe politicamente De Rosa?
Una premessa è doverosa, De Rosa aderì al PCI e entrò come redattore a l’Unità, dove curò la pagina degli esteri (roba delicata, non da poco…). Ma nel partito ebbe dei forti attriti con Pietro Secchia, l’avversario di Togliatti (il più eretico degli ortodossi staliniani). De Rosa sapeva che ero comunista e, quando mi ebbe conosciuto bene, non si fece problemi a parlarmi di questi trascorsi giornalistici e di altri avvenimenti della sua vita. Era una persona interessante, nel corso della sua esistenza aveva anche vissuto periodi di serie ristrettezze economiche, che lo avevano spinto ad accettare dei lavori umili. Comunque, gli scontri con De Rosa entro il PC erano un messaggio verso Togliatti: Secchia non voleva compromessi. La realtà è che De Rosa è sempre rimasto un cattolico, le posizioni partitiche sono secondarie rispetto alla sua fede.
E il PC ha ignorato questo aspetto?
Il PC ha ignorato anche molto altro. De Rosa aveva delle notevoli capacità e per quello lo hanno accettato: sapeva scrivere, era un uomo intelligente e questo conferma anche la mia impressione che lui si considerasse un poligrafo. Gli si dava un argomento, lui si documentava, si informava e scriveva, ha scritto anche riguardo il diritto di veto all’ONU (era l’epoca della guerra di Corea). Era culturalmente onnivoro e aveva la capacità di studiare tutto.
Ma perché, dopo De Rosa e il suo successore (e amico) Angelo Gambasin (1926-1990), nessuno si è più interessato con la stessa intensità ai cattolici intransigenti e spesso nei saggi sul Veneto risorgimentale e postrisorgimentale non sono nemmeno citati? Perché nessuno ha ripreso quegli studi con la stessa sistematicità con cui lo ha fatto lui?
Perché lui aveva talento e passione, e perché non aveva paura di nessuno. Si pubblicano ancora molti saggi sui garibaldini o sui socialisti, perché sono studi innocui. La DC per prima non amava si ricordassero gli intransigenti, che sono un pezzo importante della storia del Veneto, anche per capire l’avvento della DC, che poi ha formato la classe politica regionale. Si può fare un confronto con l’evoluzione storica della Romagna “rossa”, qui da noi la storia è stata diversa e il passato ci fa capire anche la nostra situazione politica attuale.
(1): Presso la Biblioteca Civica di Portogruaro si conserva una fotocopia de La rivincita di Ario risalente al 1969, donata dal partigiano Teodolfo Tessari (1916-1982): BinP – Biblioteche in Polo | La rivincita di Ario [vol. in fotocopia] (regione.veneto.it) [ricontrollato il 30/08/2022].
Una fotocopia dell’opuscolo è presente anche presso la Biblioteca del Centro di Ateneo per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea di Padova, ma è una riproduzione dell’esemplare conservato nel Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (Milano), il quale riporta come data di ingresso 17.10.84, segno che la copia è ben successiva agli anni in cui De Rosa insegnava al Bo.
Autore articolo: Riccardo Pasqualin, insegnante di materie umanistiche, si dedica allo studio della Storia Veneta e del legittimismo. Tra i suoi testi si può ricordare “Il paesaggio rurale storico nel Comune di Candiana” (2020).
Bibliografia: Agostini Filiberto (a cura di), Le «ricerche di storia sociale e religiosa» nei verbali delle sedute padovane (1965-1974), Istituto per le ricerche di storia sociale e di storia religiosa, Vicenza 1988; De Rosa Gabriele, La rivincita di Ario, Gruppo Universitario Fascista di Alessandria, Alessandria 1939; Sarfatti Michele, Il cielo sereno e l’ombra della Shoah, Viella, Roma 2020; Secchia Pietro, Le armi del fascismo (1921-1971), m-48 [edizione digitale], 2022; Simone Giulia, «La facoltà cenerentola». Scienze politiche a Padova dal 1948 al 1968, FrancoAngeli, Milano 2017.
– Si ringrazia l’Archivio Storico dell’Università di Padova.