Un turco napoletano

Nel 1953, Totò indossò i panni di Felice Sciosciammocca e fece da protagonista in un film di grande fortuna, ambientato a Sorrento ma in realtà girato a San Felice Circeo: Un turco napoletano. Era l’adattamento al grande schermo della farsa Nu turco napulitano del 1888, scritta da Eduardo Scarpetta ed ispirata alla commedia Le Parisien di A. N. Hennequin. L’ispirazione al commediografo nostrano l’aveva data il chiacchieratissimo soggiorno napoletano di Ismail Pascià, conclusosi qualche anno prima…

Il kedivé d’Egitto giunse a Napoli nel 1879, incolpato dalla Turchia di non aver pagato gli interessi del debito pubblico. Aveva chiesto ospitalità al governo italiano che gliel’aveva concessa, destinandolo agli appartamenti della sontuosa villa napoletana La favorita. Il kedivé vi si era trasferito con le sue tre moglie, decine di concubine, soldati e servitori. Inizialmente le donne avevano preso alloggio a Villa Roccabella, a Posillipo, e gli uomini all’Hotel Royal poi il Presidente del Consiglio dei Ministri, Benedetto Cairoli, gli concesse la villa ercolanense. L’edificio venne allora ristrutturato, ampliato ed arredato con mobili in stile turco. L’ingegnere Ernesto Ferraro ebbe un bel da fare per soddisfare le esigenze della corte egiziana e le leggi coraniche, dovette persino disporre l’alloggio per tremila uccelli nel giro di ventiquattro ore. Ismail Pascià abitò il primo piano col suo harem, le mogli andarono al secondo, gli inservienti nello scantinato e gli armati alloggiarono in una dipendenza della villa.

Sin dal primo giorno si scatenò l’accesa follia per la corte egiziana. Nicola Lazzaro ne scrisse per L’Illustrazione Italiana: “Eran circa le undici del mattino ed io, in piena teletta di cerimonia, stavo seduto sul banchetto di un battello che vogava verso la pirofregata Makruse dell’armata imperiale ottomana, su cui abitava S. A. Ismail Pascià, ex-Kedivè d’Egitto… Avvicinandomi al Makruse, vidi tutt’intorno come un formicolio di barchette piene di curiosi, che a forza di segni e di parole chiedevano alla sentinella egizia, posta sul primo scalino della scala conducente a bordo, il permesso di ascenderla, visitare il legno, vedere o anche parlare all’e-Vicerè e chi sa forse, gettare uno sguardo nell’Harem. Un Harem? Ma basta questo sol nome per eccitare tutte le immaginabili curiosità della fantasia pubblica. La parola harem fa supporre mille viste piacevoli, mille sorprese, mille nudità, mille cose straordinarie… La sentinella rispondeva a tutte le insistenze con la maniera più convincente, non apriva bocca e se qualcuno più audace osava porre la mano sul limitare della scala, ecco un calcio di fucile pronto ad appoggiarsi sulle sue dita con molta gentilezza. Il mio rematore si fece largo fra le barchette e condottomi ai piedi della scala, mostrai al cerbero-mummia il biglietto d’invito ricevuto, con il quale S. A. m’accordava l’onore di una udienza speciale… Nel montare la dozzina di scalini per giungere sulla tolda, potetti godere della sorpresa degli altri. Chi pretendeva ch’io mi fossi il Prefetto, chi un generale, chi un console, chi che so io. Nessuno immaginava ch’io fossi semplicemente e puramente un giornalista… Il grido emesso dall’ufficiale fece accorrere allo sportello superiore delle scale il comandante del legno e varii altri ufficiali. Mi ricevettero con somma cortesia ed uno di essi credo si chiamasse Kaim Pascià, andò ad annunziarmi all’ex-vicerè… Ismail Pascià era sul casseretto di poppa, seduto in una larga poltrona a bracciuoli di legno con sedili di crini. Si arrivava a lui ascendendo una scaletta di legno di otto o dieci gradini. Lo accerchiavano restando in piedi alcuni suoi ufficiali. Tutti, al pari di S. A., vestitivano all’europea orientale, cioè pantaloni scuri, soprabito a vita con una sola bottoniera fino alla gola, creavatta nera ed il trafizionale fez sul capo. S. A. aveva ai piedi degli stivalini di pelle lucida. Dei domestici servivano di fuoco e di tabacco. Nel vedermi si alzò e facendo un passo verso me mi prese la mano e mi condusse in un salottino, nel quale è uso ricevere. Neanche qui vidi nulla di lusso orientale… Un personaggio nella sua situazione ed un giornalista non tardan molto a sdrucciolare sul terreno politico, e noi vi cademmo subito… La nostra conversazione durò circa un’ora e si fece sempre in francese. In tutto questo tempo ebbi occasione di osservare il mio augusto interlocutore. Egli è di altezza regolare, pingue abbastanza, ha il viso ovale coperto da folta barba che conserva cortissima; mostra appena un 45 anni, e solo sulle guance la barba comincia ad imbianchire. Nel parlare socchiude l’occhio destro, ma lo riapre tutto e lo ficca limpido e chiaro sul volto di chi gli parla, allorchè il discorso diviene interessante. Siede completamente all’europea, non piega neanche una gamba, parla con posatezza e nel discorso fa cadere ad ogni momento la frase, cela et ceci, tout ca…”.

I napoletani si appassionarono a questa strana presenza ed ogni domenica si recavano in centinaia a Resina per curiosare. La villa però era impenetrabile, sempre protetta dai soldati musulmani in fucili e scimitarre e bisognava accontentarsi di vedere qualche egiziano seduto a fumare. La curiosità popolare raggiunse livelli di invadenza ed esagerata indiscrezione e, quando Ismail Pascià si recò al Teatro San Carlo con le sue mogli in centro, scoppiarono addirittura dei tumulti perchè in migliaia volevano entrare per vederlo. Si raccontano poi aneddoti scherzosi di operai napoletani che avevano imparato parolacce turche, di schiere di eunuchi a guardia dell’harem e sui giornali finirono storie di schiave sfarzosamente vestite, di cibi speziati e bevande di latte e mandorla.

Un fatto scandaloso si verificò poi il 13 gennaio del 1881, quando una donna del seguito del kedivé, la principessa turca (secondo altri una schiava circassa) Nasik Misak, travestita da ufficiale, fuggì dalla villa per raggiungere il giovane di cui si era invaghita, Pasquale Follari.

Le indagini portarono all’accusa di rapimento per l’amante napoletano, il pascià scrisse sinanche a Umberto I per farsi restituire la principessa e Pasquale Follari si rivolse invece alla regina Margherita perchè perorasse la causa di un sincero amore. Le polemiche crebbero fino a quando il kedivè, per non inimicarsi il Paese che l’aveva ospitato, decise di lasciar perdere. Nasik, assistita da frate Bonaventura da Chartum, studiò catechismo cattolico e si convertì. Fu battezzata col nome della regina d’Italia che ne aveva protetto la fuga e si sposò a Resina il 30 giugno del 1881 col suo amato Pasquale

Ismail Pascià salutò Napoli nel 1885, riconciliandosi col sultano, ma la sua presenza lasciò un vivace ricordo nella collettività al punto che Eduardo Scarpetta gli dedicò Nu turco napulitano e qualcun altro persino un bar a Piazza Dante.

Salvatore Fiocca, infatti, intitolò il suo bar Caffè Turco, presentandosi al pubblico con un grosso fez rosso e preparando uno squisito caffé alla turca. Il locale passò da Piazza Dante a Piazza Plebiscito e fu popolato da illustri voci della scena musicale partenopea, dal tenore Diego Giannini al macchiettista Mongelluzzo. Sino al 1911 fu il trampolino di lancio per incredibili successi canori e, solo quell’anno, vi nacquero Comme se canta a Napule di E. A. Mario, L’ammore che fa fà di Ernesto Murolo e di Ernesto De Curtis, Lucia Lucì di Giambattista ed Ernesto De Curtis e Ninì Tirabusciò di Aniello Califano e Salvatore Gambardella. Il più grande successo fu forse Comme facette mammeta, scritta nel 1907 da un cameriere del bar, Giuseppe Capaldo. Sopraggiunse la guerra contro la Turchia e allora il nome del bar divenne equivoco, se non pericoloso, e Fiocca si tolse il fez rosso e mutò il nome del suo locale in Caffè Tripoli. Ormai però il tramonto era in vista. Quei locali avrebbero presto ospitato il Circolo degli Ufficiali del presidio militare di Napoli.

 

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Fonte foto: dalla rete

Bibliografia: G. Bausilio, Storie Antiche di una Napoli Antica; Napoli Nobilissima, Vol II Fasc. XII; D. R. Segré, Il primo khedive d’Egitto

historiaregni

Historia Regni è un portale telematico dedicato alla storia, anzitutto quella italiana. Nasce su iniziativa di Angelo D’Ambra, è senza scopo di lucro e si avvale di collaborazioni gratuite. Le foto presenti sono state, in parte, prese da internet e quindi valutate di pubblico dominio. Se gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, non avranno che da segnalarlo al nostro indirizzo email info@historiaregni.it e si provvederà alla rimozione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *