Tiberio Gracco
Vogt, in La Repubblica Romana, così ci parla di Tiberio Gracco e della crisi sociale ed economica che visse Roma nel II secolo a.C.
***
L’attività politica di Tiberio che, nato nel 162, era maggiore di Gaio di 10 anni circa ed aveva prestato servizio nell’esercito già nella terza guerra punica, cominciò nel 137 a.C. colla questura. Le esperienze di quell’anno in cui Tiberio fu mandato col console Ostilio Mancio nella Spagna citeriore, influirono decisivamente sulla sua policia. Egli osservò nel suo viaggio attraverso l’Etruria la decadenza delle fattorie italiche, si rese conto in Ispagna della cattiva qualità delle truppe romane, e della discutibile moralità della politica romanadi conquista. TIberio Gracco, come questore, stipulò il trattato con cui Mancino salvava il suo esercito dall’annientamento da parte dei Numantini. Quando il trattato fu respinto a Roma, anche a lui si minacciò per un certo tempo la consegna del nemico. Questi precedenti erano atti a dimostrare la necessità delle riforme. Più di tutto gli dovette sembrare indispensabile ricostruire la forza militare nazionale d’Italia risollevando la classe agricola. Come membro del Senato, Tiberio Gracco si accostò al gruppo degli uomini politici propensi alla riforma, il cui capo era suo suocero Appio Claudio Pulcro. Il tribunato del popolo, che Gracco assunse nel 133 a.C., gli offerse grandi possibilità di attività riformatrice, poiché questa carica era collegata all’iniziativa legislativa.
Subito dopo la sua elezione a tribuno, forse già nella richiesta della carica, Tiberio fece nelle adunanze del popolo precise proposte che miravano a creare nuovi insediamenti agricoli e quindi a sollevare la forza militare dello stato. Egli propose di rinnovare l’antica legge, che nessun cittadino potesse avere in usufrutto più di 500 iugeri (125 ettari) di terreno pubblico, ma stabiliva in un articolo addizionale, favorevole al latifondo, che i detentori di terreno pubblico potessero riservarsi ancora 250 iugeri per ogni loro discendente… Queste proposte che affrontavano in u nsol colpo tutte le questioni della colonizzazione furono presentate da Tiberio con grande passione… La voce incitatrice del tribuno portò una violenta agitazione nella cittadinanza, acquistò forti adesioni al piano di riforme, e parimenti destò decise ostilita. Naturalmente i possessori di latifondi su terreno pubblico si dichiararono contro il progetto, ma anche da chi non era impegnato nella questione si potevano fare obiezioni contro questa proposta, poiché la confusione di suolo privato e pubblico era progredita spesso fino ad essere irriconoscibile e perchè inoltre si doveva temere di coinvolgere in tutto il momento gli alleati italici, che egualmente avevano in usufrutto grandi estensioni del territorio pubblico. L’approvazione del progetto di legge spettava ai “comitia tributa”. Dopo che la votazione dell’adunanza fu differita più volte, Marco Ottavio, un collega di Tiberio nel tribunato, alla fine pose il veto contro la proposta. Così la votazione era caduta e secondo la costituzione la proposta non poteva più esser approvata in quell’anno. Nel frattempo però l’agitazione della popolazione crebbe violentemente: il popolo delle campagne accorse in folla a Roma dove si doveva decidere la questione vitale della classe agricola. Tiberio fu posto dinanzi al problema di abbandonare il suo piano come una volta Lelio, o di aprirsi a forza una nuova via per attuarlo. Per uscire da queste difficoltà egli si decise ad un colpo inaspettato che doveva annichilire il tribuno ostile, e quindi portare la legge agraria ad un sicuro successo. Presentò al popolo la proposta di destituire Ottavio dalla carica, poiché egli andava contro gl’interessi del popolo che lo aveva eletto tribuno. Tutte le 35 tribù votarono per la destituzione del tribuno; Ottavio lasciò la carica ed al suo posto entrò un successo che non elevò alcuna protesta contro la proposta di Gracco. Poi anche la legge agraria fu approvata dall’adunanza…
Nella commissione dei triumviri per stabilire ed assegnare l’agro pubblico (tresviri agris iudicandis assignandis) furono eletti Tiberio Gracco, suo fratello Gaio e suo suocero Appio Claudio; la coesione familiare dei membri sembrò in questo caso utile. I tre uomini che in turno annuo si dovevano alternare nella direzione della commissione ebbero funzioni giudiziarie per decidere le controversie di proprietà. Così cominciò il lavoro pratico, mentre già si rimproverava a Tiberio il suo procedere anticostituzionale, e si levavano alte minacce che gli si sarebbe intentato processo allo scadere della sua carica. Un grande difficoltà per la fondazione di nuove fattorie, come apparve subito, era la mancanza di capitali per i contadini che dovevano esservi sistemati. Per sopperire a questa mancanza, Tiberio propose che si ponessero a disposizione le somme aciò necessarie prendendole dall’eredità del re Attalo di Pergamo, che proprio allora era morto e aveva lasciato il regno ed il tesoro al popolo romano. Anche questa proposta fu accolta, sebbene anch’essa contraddicesse alla tradizione ed alla costituzione. Infatti le decisioni sugli affari esteri e la direzione dell’economia statale appartenevano alle competenze del Senato. Così gli attacchi contro Tiberio ebbero nuovo alimento; già lo si accusava di tendere al dominio assoluto. Il tribuno, deciso a porre in atto le sue riforme con tutte le conseguenze, non si astenne da un terzo procedimento anticostituzionale: egli, con un grande programma di riforme, si presentò di nuovo candidato al tribunato per l’anno 132 a. C., senza essersi procurato la necessaria dispensa per la rielezione.
Tra le proposte di legge, ch’egli presentò, si trovava il progetto di una nuova composizione di tribunali stabili, misura che prendeva di mira il potere giudiziario del Senato, e inoltre il piano d’indennizzare in altra maniera gli alleati italici per l’incameramento dell’agro pubblico da loro posseduto.
Questi progetti mostravano che si era solo al principio delle riforme. Partigiani ed avversari dei tribuni si procacciavano voti per la grande decisione che doveva aver luogo nelle elezioni tribunizie. Poiché queste elezioni furono intraprese d’estate e molti dei partigiani di Gracco erano trattenuti in campagna dai lavori della mietitura, tanto più decisa si proseguì l’agitazione tra il popolo cittadino. Da questa agitazione, che v’era da ambe le parti, ebbero origine queli atti di violenza che portarono alla morte del riformatore. I comizi non poterono votare il primo giorno; il giorno dopo da entrambe le parti vi erano preparativi a procedere colla violenza. L’assemblea popolare si tenne sul Campidoglio, e quivi simultaneamente il Senato si radunò nel tempio della Fede. Le due adunanze si guardavano con diffidenza; nel Senato venivano manifestate opinioni discordanti; nell’assemblea popolare scoppiò un tumulto. Un equivoco – come suole succedere in situazioni così tese – scatenò la tempesta. Quando Tiberio levò la mano al capo, per significare ai suoi partigiani che ne andava della sua testa, i nemici nel Senato credettero ch’egli chiedesse il diadema. Perciò gli avversari più accaniti della riforma, sotto la direzione del Pontifex maximus, Scipione Nasica, irruppero contro Tiberio e il suo seguito. Quelli che stavano più vicini al tribuno e gli servivono da guardia del corpo furono violentemente dispersi ed abbattuti, Tiberio prese la fuga, ma fu subito preso ed ucciso, ed il suo cadavere fu gettato nel Tevere. Poi i più stretti partigiani del rivoluzionario furono contannati con processo sommario.