Silla nemico di Mario
Finito con Gaio Mario a combattere i cimbri, Silla non tardò ad essere vittima della vendetta del console, seccato dal fatto che a lui e solo a lui si tributasse il successo nella campagna contro Giugurta. Dopo qualche mese, infatti, Silla fu allontanato dalla tenda pretoria e declassato a fare il tribunus militum. In tutta risposta Silla si rivolse a Lutazio Catulo e fu accolto nel suo stato maggiore, a sorvegliare il Brennero. A campagna conclusa, quando finalmente Gaio Mario si vide riconosciuto come grande generale, Silla tornò a riaffacciarsi nella vita politica romana candidandosi alla pretura. Non ebbe fortuna forse proprio perché ostacolato da Mario e dovette attendere l’anno successivo. All’epoca i pretori erano quattro ed a lui toccò la pretura urbana, la più importante. In un anno si fece conoscere dal pubblico dell’Urbe come politico ed uomo di governo perfettamente inserito nel sistema istituzionale romano e con ciò si guadagnò il grado di pretore della provincia di Cilicia. Fu un lusinghiero bilancio quello che alla fine trasse Silla perché era assurto all’attenzione internazionale ritrovandosi ad invadere la Cappadocia per rimettere sul trono Ariobarzane, fermando l’espansionismo di Mitridate, e poi a dover trattare alleanza coi parti, impensieriti dalla presenza romana nell’area. Silla in queste vicende oltre ad accumulare un bel patrimonio personale, conquistò pure la stima dei legionari e del Senato, tre cose che gli furono molto utili per affrontare l’imminente guerra sociale.
L’enorme patrimonio demaniale costituito dall’ager publicus, sorto nei secoli con la confisca dei territori appartenenti alle città sconfitte da Roma, era in larga parte stato occupato abusivamente da privati, grandi agrari romani ma anche italici che se ne serviva come pascolo per le loro mandrie e greggi. Tiberio Gracco aveva provato a recuperare una parte di queste terre per distribuirla al proletariato sia romano che italico e suo fratello Gaio aveva portato avanti un tentativo di riconoscimento della cittadinanza agli italici che risolvesse la questione. Tiberio fu assassinato, Gaio si fece uccidere dal suo schiavo per non finire nelle mani dei suoi oppositori in rivolta. Trent’anni dopo, il tribuno Livio Druso pensò di risolvere la questione risarcendo chi perdeva la terra, ma il costo di questa operazione era così alto per le casse statali che si preferì pagare un sicario e ammazzarlo. Con questo omicidio gli italici avevano capito che solo una rivolta avrebbe dato loro diritti e terra. La loro guerra iniziò ad Ascoli quando il propretore Quinto Servilio Cepione fu linciato e poi si scatenò una efferata “caccia al romano” nelle strade della città. Il Senato di Roma rispose ai ribelli italici richiamando i suoi migliori ufficiali e tra essi anche Silla che fu affiancato al console Lucio Giulio Cesare e impegnato contro i sanniti. Una delle sue imprese più famose fu la cattura di Aeclanum, capitale degli irpini, ottenuta incendiando il muro di legno che difendeva la città assediata. Come conseguenza, nell’88 a.C., ottenne per la prima volta il consolato, insieme a Quinto Pompeo Rufo. In queste vicende si registrò grande ferocia di Silla contro i nemici ed uno spiazzante distacco davanti alla lapidazione con cui i legionari ammazzarono un loro inflessibile comandante, Albino. Probabilmente Silla con misure del genere voleva guadagnarsi la stima dei suoi uomini… e come vedremo vi riuscì.
I disordini d’Italia portarono Mitridate ad attaccare i romani uccidendone in un solo giorno 80.000. Il re del Ponto pensava che Roma fosse debole e facile da battere per sempre ed in effetti per un po’ i romani stettero a guardare. Intanto, pacificata l’Italia con la concessione della cittadinanza agli italici, Silla sposò Cecilia Metella, un matrimonio che gli conferì una forza ed una protezione che nessun altro avrebbe potuto avere perché i Metelli erano all’epoca la famiglia più autorevole di Roma. Così si vide assegnare l’incarico da tutti ambito, condurre la guerra conto Mitridate. Silla era di fatti il capo degli optimates.
Mario, contrariato dal matrimonio che legava i suoi principali nemici, ovvero Silla e i Metelli, comprò il tribuno della plebe Publio Sulpicio Rufo e, convocati in città i suoi veterani in armi, tentò di far approvare una legge che sottraesse a Silla il comando dell’esercito romano, già formalmente conferitogli, e lo assegnasse a lui stesso. I consoli in carica, ovvero Silla e Pompeo Rufo, proclamarono le feriae imperativae, cioè la sospensione di tutte le attività della città e i veterani di Mario allora attaccarono portando disordini e sangue. A quanto pare Silla stesso fu aggredito e riuscì a trovare scampo solo rifugiandosi nella casa di Mario nelle vicinanze del Foro nel tentativo di trovare un compromesso, non vi riuscì e quindi provò ad anticipare i tempi unendosi alle legioni. Pochi giorni dopo la legge di Publio Sulpicio Rufo passò. Appresa la notizia Silla, accampato in quel momento nell’Italia meridionale in attesa di imbarcarsi per la Grecia, scelse le sei legioni a lui più fedeli e, alla loro testa, si diresse verso Roma occupandola. Tra quei soldati, il nerbo era costituito da coloro che lo conoscevano bene perché con lui avevano militato sia nella campagna contro Giugurta sia nella guerra sociale, probabilmente c’erano anche colo che avevano lapidato impunemente Albino.
Spaventati da tanta risolutezza, Mario e i populares suoi seguaci fuggirono. Parte della città accolse l’esercito di Silla con una gragnola di pietre e tegole ma presto ogni resistenza fu sedata, quartiere per quartiere. Dopo avere preso una serie di provvedimenti per ristabilire l’assoluta centralità del Senato come guida della politica romana e dichiarato Mario nemico del popolo, Silla lasciò di nuovo Roma, per intraprendere la guerra contro Mitridate.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia: G. Antonelli, Silla, l’ultimo dittatore dell’antica Roma