Salvo d’Acquisto, carabiniere e servo di Dio

Il suo gesto ben si accosta al martirio di carità di San Massimiliano KolbeSalvo d’Acquisto merita il nostro ricordo.

Nacque a Napoli in Via San Gennaro ad Antignano, zona Vomero, il 15 ottobre del 1920. Al compimento dei diciotto anni si arruolò nell’Arma dei Carabinieri. Seguì così una tradizione di famiglia, il nonno materno, uno zio paterno e due zii materni avevano già militato in quel corpo. Si spostò a Roma come allievo poi come carabiniere a tutti gli effetti, intanto l’Italia era entrata in guerra e chiedeva l’impegno d’ogni militare.

D’Acquistò partì volontario per l’Africa Settentrionale, fu in Cirenaica dall’ottobre del 1940 agli inizi del 1942 assegnato alla 608° sezione Carabinieri detta Divisione aerea “Pegaso”. Passò poi in Tripolitania e nuovamente in Cirenaica. Tornò in Italia per gli esami che lo promossero vicebrigadiere e fu quindi trasferito alla stazione dei carabinieri di Torrimpietra, una piccola borgata a trenta chilometri da Roma sormontata da una vecchia torre come la vicina Palidoro.

L’otto settembre, pur cosciente della pericolosità della situazione, Salvo D’Acquisto scelse di restare al suo posto. Quanto accadde è noto. La sera del 22 settembre a Palidoro un soldato tedesco venne ucciso dallo scoppio di una bomba, altri due restarono feriti. Il mattino dopo de militari tedeschi raggiunsero in motocarrozzetta Torrimpietra e la caserma dei Carabinieri che aveva giurisdizione anche su Palidoro. Il maresciallo comandante non c’era, interloquirono con D’Acquisto e lo condussero con loro. Poche ore dopo giunse a Torrimpietra un autocarro con numerosi militari tedeschi che, non riuscendo a trovare altri carabinieri, prelevano 21 persone. Costoro vennero condotti nella piazzetta di Palidoro e posti davanti D’Acquisto. Il vicebrigadiere fu invitato ad identificare fra i rastrellati il colpevole del presunto attentato.

D’Acquisto però si negò, provò a spiegare che nessuno dei fermati era colpevole. I tedeschi lo picchiarono, gli strapparono la giubba, minacciarono d’ucciderli tutti. Senza ottener nulla fecero risalire gli ostaggi su un autocarro, tra di loro c’era pure D’Acquisto ed il giovane Angelo Amodio, che sarà poi l’unico testimone occultare della tragica vicenda. Vennero condotti ai piedi della Torre di Palidoro e, risultato inutile un ennesimo interrogatorio, furono obbligati a scavarsi la fossa con vanghe e badili. Il terrore conquistò gli ostaggi e D’Acquisto, con grande slancio eroico, assunse la decisione di presentarsi come colpevole. A mezzo dell’interprete fece dire che il responsabile dell’attentato era lui e chiese la libertà per gli altri. La ottiene: i ventuno ostaggi furono lasciati liberi, solo Angelo Amodio fu costretto a restare sul posto. Salvo D’Acquisto fu fucilato. Le sue ultime parole furono: “Viva l’Italia!”.

Il brigadiere siciliano Gaspare Imbergamo ce ne lasciò un prezioso ricordo: “Lo rividi una solva volta nel settembre del 1943 circa dieci giorni prima della sua fucilazione, a piazza Santa Maria Maggiore a Roma (…). Era in divisa; mi trattenni con lui per circa una mezz’ora. Analizzammo insieme la stiauzione di sbandamento che stavamo attraversando  gli prospettai pertanto l’opportunità di lasciare il comando della stzione perchè poteva essere accusato di collaborazionismo e di venire con noi che eravamo già confluiti nel cosiddetto Fronte clandestino. Egli si rendeva conto della situazione, ma, con grande senso di responsabilità, riteneva di non potere abbandonare la popolazione di Torrimpietra, la quale contava molto su di lui. Egli si sentiva responsabile come un padre per i propri figli. Ricordo che nel vederlo e nel sentirlo parlare si rinnovò in me la sensazione di trovarmi dinanzi a un sacerdote, che nella sua giovinezza aveva la saggezza di un anziano. Al momento di lasciarlo rimasi turbato di fronte all’incognita del suo futuro che certamente non si prospettava roseo”.

Alla memoria del vicebrigadiere Salvo D’Acquisto il Luogotenente Generale del Regno, con Decreto “Motu Proprio” del 25 febbraio 1945, conferì la Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione: “Esempio luminoso di altruismo, spinto fino alla suprema rinunzia della vita, sul luogo stesso del supplizio, dove, per barbara rappresaglia, erano stati condotti dalle orde naziste 22 ostaggi civili del territorio della sua stazione, non esitava a dichiararsi unico responsabile d’un presunto attentato contro le forze armate tedesche. Affrontava così da solo, impavido, la morte imponendosi al rispetto dei suoi stessi carnefici e scrivendo una nuova pagina indelebile di purissimo eroismo nella storia gloriosa dell’Arma”.

Il gesto di D’Acquisto destò ammirazione fra gli stessi tedeschi, alcuni di loro parlando con una ragazza del posto ammisero: “Il vostro brigadiere è morto da eroe. Impassibile anche di fronte alla morte. Si è assunta intera la responsabilità del fatto per salvare la vita dei civili, i quali non facevano che piagnucolare ed implorare”.

Diciannove giorni dopo la fucilazione, Wanda Baglioni, Angelo Amodio, Caterina Nasoni, Clara Pesamosca, Domenico Castiglione, Angelo Magaglia col parroco Luigi Brancaccio, si recarono di notte sul luogo, esumarono la salma, la avvolsero in un lenzuolo e, in una bara, la condussero al cimitero di Palidoro. Solo nel luglio del 1944 i familiari di D’Acquisto furono informati dell’accaduto. La salma fu poi traslata nel 1983 nella Basilica francescana di Santa Chiara. Nel 1983 fu annunciato da S.E. Mons. Gaetano Bonicelli l’apertura presso l’Ordinariato militare di una causa di canonizzazione e conseguentemente al sottufficiale attualmente è assegnato dalla Chiesa il titolo di Servo di Dio.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Fonti:

Carmine di Biase, Salvo D’Acquisto nel 40° del suo sacrificio (1943-1983), Napoli 1983

La figura del Servo di Dio Salvo D’Acquisto, Vice Brigadiere dei Carabinieri, Ente Editoriale per l’Arma dei Carabinieri, Roma 2006

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