Ritratto di Carlo Magno
Traiamo dalla Cronaca di Eginardo (Alessandro Cutolo, Tre cronache medievali) questo ritratto di Carlo Magno. Eginaro visse presso la corte dei Franchi e fu biografo del re.
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Era, re Carlo, di corporatura massiccia e robusta, di statura alta che, pur tuttavia, non eccedeva una giusta misura, dato che misurava sette volte la lunghezza del suo piede. Aveva testa tonda, occhi grandissimi e vivaci, il naso un po’ più lungo del normale, bei capelli bianchi, volto sereno e gioviale che gli conferiva, seduto che fosse o dritto in piedi, una grandissima autorità e pari dignità di aspetto. Quantunque avesse un collo grasso e troppo corto ed il ventre un po’ sporgente, purtuttavia l’armoniosità delle altre membra celava questi difetti. Sicuro nell’incedere, emanava da tutto il corpo un fascino virile. La salute era eccellente ma, negli ultimi quattro anni di vita, andò frequentemente soggetto alle febbri, ed infine finì con lo zoppicare da un piede. Ma faceva a testa sua e non si curava del parere dei medici che aveva preso in grande uggia, perché gli consigliavano di abbandonare, per le carni lesse, gli arrosti i quali era, invece, abituato.
Si esercitava di frequente all’equitazione ed alla caccia. Amava anche molto i bagni minerali e spesso si esercitava al nuoto. Eccelleva talmente in quest’esercizio che nessuno riusciva a sorpassarlo. Per tale ragione costruì una reggia in Aquisgrana: ivi trascorse gli ultimi anni di sua vita abitandovi in permanenza. Invitava al bagno con lui non solo i figli, ma anche i grandi del regno e gli amici e talora persino le proprie guardie del corpo. Avveniva così che, qualche volta, scendessero in acqua con lui oltre cento uomini.
Vestiva sempre con il costume nazionale dei Franchi: sul corpo indossava una camicia ed un paio di mutande di lino; su di esse poneva una tunica orlata di seta e i pantaloni. Portava fasce alle gambe e calzari ai piedi: d’inverno proteggeva le spalle ed il petto con un indumento confezionato in pelli di lontra o di topo. S’avviluppava in un mantello color verdognolo e portava sempre al fianco una spada con il pomo ed il fodero d’oro o d’argento. Nelle festività incedeva in una veste tessuta d’oro, con calzature decorate di gemme; una fibbia d’oro gli fermava il mantello, e s’ornava di una corona anch’essa d’oro e sfolgorante di gemme. Negli altri giorni, invece, il suo abito differiva poco da quello che usava il popolo.
Era assai sobrio nel mangiare e nel bere; nel bere soprattutto. Detestava l’ubriachezza in qualsiasi uomo e massimamente in sé e nei suoi.
Banchettava molto di rado e solo nelle grandi festività; ma allora con numerosi convitati. Mentre cenava gli piaceva udire qualche musico o qualche lettore. Gli leggevano le storie degli antichi, ma amava ascoltare anche le opere di Sant’Agostino e specie quella intitolata De civitate Dei. D’estate, dopo il pasto del mezzodì, si toglieva vesti e calzature, così come era solito fare la notte, e riposava due o tre ore. Di notte si svegliava dalle quattro alle cinque volte, non solo, ma si levava anche in piedi. Al mattino, mentre si vestiva riceveva, d’abitudine i propri amici; ma se il conte palatino gli riferiva che v’era una lite impossibile a comporre, ordinava d’introdurre subito i litiganti e, come se fosse stato in tribunale, ascoltava le parti e pronunciava sentenze.
Aveva facile e copioso l’eloquio e sapeva esprimere con molta chiarezza il suo pensiero. Non contento di conoscere la sola lingua patria, si dette ad apprendere anche le straniere, e tra queste imparò tanto bene il latino che era solito esprimersi in quell’idioma con la stessa facilità che nel proprio; il greco lo comprendeva meglio di quanto non lo parlasse. Coltivò con ogni cura le arti liberali, e pieno di rispetto per quelli che le insegnavano, li colmò di onori. Apprese il calcolo e si applicò con attenzione a studiare il cammino degli astri. Tentò anche di scrivere, e, a questo scopo, aveva l’abitudine di tenere sotto i cuscini del letto alcune tavolette e alcuni fogli di pergamena, per esercitarsi a tracciare di propria mano varie lettere. Ma poco gli fruttò questo lavoro disordinato e iniziato troppo tardi.
Praticò sempre, e con ogni reverente devozione, quella religione cristiana nella quale era stato allevato sin dall’infanzia. Essa lo indusse a costruire la basilica di Aquisgrana, opera di stupenda bellezza.