Pontinia

Pontinia sorse sotto il regime fascista come risultato della bonifica delle regioni paludose del Lazio. Ce ne parla Stanis Ruinas in Viaggio per le città di Mussolini.

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Sulla sinistra del fiume Sisto che quasi la lambisce, poco lontano dalla gran via romana, in quella “Zona Appia” tutta ramata di migliare, Pontinia è il Comune rurale per eccellenza. Non ha tre anni di vita, e già attorno al suo nucleo di pietra la terra ferace, occupata dall’acquitrino o dal pascolo, pestata da mandrie di cavalli e di bufali, ha dato i suoi copiosi raccolti. Le risorse di questa tipica città di bonifica sorta al centro di un’estesa zona fertilissima e quindi intensamente popolata di cui essa in realtà è il centro vitale, sono e saranno essenzialmente agricole; le industrie agrarie, destinate a fiorire, ne accresceranno la ricchezza. Perciò il suo stemma multicolore porta nel cuore un melo tondo carico di frutta ed una vanga. Se non ha il lago o il mare, Pontinia ha tuttavia vicinissimi i monti sormontati da rocche di pietra, gli antichi paesi, forse tra i più anticamente abitati: i monti che non più brulli ed arsi saranno un giorno rinverditi c chiomati come il Circeo ed altrettanto accoglienti. La sua gran piazza che ha nel centro aiole quadrate di pini, battezzata colla data della storica Marcia, “28 Ottobre”, è lo scenario armonico che inquadra tutti i motivi del suo paesaggio: entro un grand’arco laterale s’incornicia il Circeo. Di fronte, in fondo a un viale che va a perdersi nella pianura, alta troneggia Sezze, l’antica Setia, la rocca preromulea che serba i resti delle mura ciclopiche, celebre per le sue secolari contese con Sermoneta, per i carciofi e per la processione del Venerdì Santo in cui i tipi più popolari incarnano con profondo spirito religioso e verità d’ arte i più tipici personaggi della Passione. A un altro viale dritto fanno da sfondo i Lepini.

Il rosso palazzo del Comune attorno a cui s’adunano gli edifici essenziali, (il palazzetto dell’ O. N.C. sede dell Azienda agraria di Pontinia, l’albergo incastrato d’ angolo fra il palazzo delie Poste e un altro di tono vivo, il cinematografo, il Dopolavoro) ha incorniciate sul suo lato destro le parole che il Duce lanciò “come grido di gioia e d’orgoglio”, il giorno della Fede, il 18 Novembre 1935, dal balcone centrale, grand’occhio aperto fra i dieci occhi laterali listali di pietra chiara nel rosseggiar dei mattoni. Sopra le tre pupille a fior di ciglio della Torre che nel mezzo s’ accampa, chiusa, potente, contr aria come scolpita nel cielo è la sentenza aurea incastonata nel discorso per l’inaugurazione della novantatreesima provincia italiana, il 18 dicembre dell’Anno XIII: “E’ l’aratro che traccia il solco ma è la spada che lo difende”.

 

 

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