Pescatori italiani in Groenlandia

Un articolo di Vito Bessi per Le vie del mondo porta alla luce l’attività di pescatori italiani tra i ghiacci della Groenlandia.

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Chi conosce la vita del mare sa che è vita dei forti; ma chi ha avuto la bella ventura di conoscere la vita del pescatore atlantico, comprende che nessun’altra esistenza come questa significa dura lotta quotidiana, tenace dedizione al lavoro, coscienza del pericolo affrontato con serenità.

La traversata atlantica è quasi ultimata. La coperta è stata approntata per la pesca. Dall’equipaggio sono state montate le cosiddette “barchette”, i banchi, le vasche e gli accessori indispensabili alla lavorazione di bordo del pescato. Siamo sui banchi di pesca.

Sondiamo la zona con l’ittoscopio (strumento che segnala su un quadrante luminoso l’eventuale presenza del branco di pesci e persino la sua qualità). Se dall’ittoscopio si nota che vi è abbondanza di pesce, si effettua la cala. Quando i merluzzi sono in prevalenza, il pescato viene completamente salato e le rimanenti qualità vengono utilizzate per la produzione della “farina di pesce” che serve all’industria dei mangimi.

Finalmente effettuiamo la prima cala. Salgo in coperta con la macchina al collo, ansiosissimo di riprendere le prime immagini. Il freddo è intenso; in coperta vi è uno strato di ghiaccio e cade silenzioso un fitto e fastidioso nevischio. Il segnale d’inizio della pesca è piuttosto insolito e caratteristico: viene alzato e capovolto un comune cesto, tutto qui. Dopo circa tre quarti d’ora l’ufficiale dà ordine di salpare la rete. La prima cala è stata effettuata. I risultati non sono troppo soddisfacenti: sono merluzzi piccoli e in scarsa quantità.

Continua la pesca; e l’indomani poveri merluzzi! Se ne fa una strage; il banco ne è ricchissimo. Tutti a bordo sono contenti, l’ufficiale saltella soddisfattissimo sul ponte per aver battuto ogni primato in una cala sola, un bottino che permette di stivare oltre 250.000 kg. Di pesce già lavorato.

La coperta è letteralmente inondata di merluzzi. Bottiglie di cognac rendono l’atmosfera ancora più elettrizzante. Mi associo all’euforia generale e scatto foto su foto con la segreta preoccupazione di esaurire troppo presto, in questo modo, la pur notevole scorta di pellicole. Ma veramente ne vale la pena…

Siamo ora in Groenlandia. Icebergs sono segnalati ovunque nella zona. Il mare è cattivo e non vuole mollare. Occorre restare nuovamente alla cappa. La temperatura è scesa a circa 25 gradi sotto zero e per otto ore, dalle due di notte alle dieci del mattino, siamo immersi nella nebbia. Ci spostiamo verso Lille Hellefiske denominazione di uno dei principali banchi di pesca della Groenlandia. A bordo, sul volto degli uomini appaiono i primi segni di ansia e di impazienza. Siamo già alla metà di gennaio e decidiamo di portarci verso i banchi ancora più a Nord. Il cielo, al mattino, tende a schiarirsi e la temperatura subisce un sensibile rialzo; il risveglio ci porta una sorpresa, scopriamo numerosi battelli incrocianti nella zona, sono francesi, norvegesi, inglesi, vi è anche la nave peschereccia più grande del mondo: la motonave russa Ashhabat. Anche il battello gemello del Maristella, sul quale sono imbarcato, è presente e ci passa vicinissimo: deve essere arrivato stanotte sui banchi di pesca sui quali abbiamo deciso di fermarci qualche giorno. Intanto, mare, vento, bufera ci costringono a terribili, interminabili ore di sosta. Un inferno che non accenna a finire. La nave rulla da due giorni in continuazione, e chi si stende nella cuccetta per tentar di dormire, rischia continuamente di esser sbattuto contro le pareti dello scafo.

Lasciamo questi banchi della Groenlandia e la nostra permanenza in questa zona sta per terminare. Ho avuto modo di fissare con l’obiettivo scene inconsuete di rara, incomparabile bellezza. La magica luce di mezzanotte, che mi permette di fotografare con effetti che pennellano di porpora la nostra nave fin dentro la sala nautica, rende più umani e più vivi persino i freddi strumenti meccanici. Impossibile è comunque dimenticare, per chi una volta ne ha subito l’intano, i panorami fantasmagorici di questo Paese, geograficamente sì consueto e sì scoperto eppure sempre così unico da sembrar leggendario.

Il 30 gennaio lasciamo la Groenlandia. All’alba (qui non si ha mai la nozione del tempo, dato che il sole si vede anche a mezzanotte) il “secondo” mi spinge in coperta perché anch’io possa partecipare allo spettacolo inconsueto. Infatti una visione incantevole si presenta ai miei occhi: la banchina splende come un enorme brillante, e il riverbero dei raggi solari irradia il battello di colori stupendi, fiammanti, di una bellezza irreale. Stiamo per dar l’addio a tutto questo, e una sottile malinconia scende nel nostro animo. La campagna è terminata, e la paura si dirige verso il porto di armamento.

In coperta si smontano le attrezzature per la pesca e ci prepariamo al riassetto generale. Vogliamo giungere a casa tirati a festa. I 60 pescatori rimpatriano dopo oltre sei mesi di lavoro. Abbiamo percorso più di 20.500 miglia, abbiamo effettuato oltre 900 cale, e nelle stive vi è un carico di 500 tonnellate di salato, 400 di congelato e 30 di olio di fegato.

 

 

 

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