Perchè Giorgio V non salvò lo zar Nicola II?
Nicola II e Giorgio V sono stati cugini ed entrambi imperatori. Hanno rappresentato due importanti monarchie del vecchio continente e hanno solcato l’intero diciannovesimo secolo. Erano molto simili fisicamente – la rassomiglianza era tale da farli chiamare “cugini-gemelli” -, ma ebbero destini del tutto diversi: il primo, discendente dei Romanov e “Imperatore e Autocrate di Tutte le Russie”, morì per mano dei bolscevichi, il secondo, “Re del Regno Unito, d’Irlanda e dei Dominion britannici d’oltremare, Imperatore d’India”, morì di malattia in Patria. Su Giorgio V, però, restò la pesante ombra di non avere soccorso il cugino, sottraendo lui e la sua famiglia all’infame destino di essere sterminati dai rivoluzionari.
Le numerose immagini d’archivio che mostrano insieme i due re, accennano a un legame stretto, oltre i vincoli di parentela, che era quello di essere primi cugini, figli di due sorelle. Giorgio V, infatti, era figlio di Alessandra di Danimarca, regina del Regno Unito in quanto moglie di Edoardo VIII, e Nicola II era figlio di Dagmar alias Marija Fedorovna, imperatrice di tutte le Russie e consorte di Alessandro II. Alessandra e Dagmar erano figlie di Cristiano IX di Danimarca e di Luisa d’Assia-Kassel. D’altra parte è noto che sia la regina Vittoria che Cristiano IX, fossero considerati rispettivamente “la nonna e il suocero d’Europa” in quanto la loro progenie sedette sui principali troni delle corti europee ed esattamente Regno Unito, Russia, Danimarca, Germania, Grecia, Spagna, Belgio, Svezia, Norvegia e Romania.
I cugini gemelli erano anche amici, un legame che oltrepassava i vincoli di consanguineità. Avevano oltre a somiglianza fisica e comunanza di antenati, una forte concordanza di opinioni e di interessi personali, la stessa visione del mondo, in cui i privilegi si mischiavano ai dictat di ruolo, insomma tutto quello che per insindacabile scelta del destino cadrà sulle loro teste modificando definitivamente le sorti di vita e di potere delle due tra le grandi monarchie del XX secolo.
Lo scoppio della Rivoluzione russa avrebbe dovuto spingere Giorgio V a offrire un asilo politico alla famiglia imperiale. Inizialmente, il governo che aveva deposto lo zar non aveva affatto escluso un suo esilio dal Paese, poi i bolscevichi furono meno interessati a garantirgli una partenza sicura e un riparo in terra di Albione. In Inghilterra, il contesto sociale era difficile, le masse rivendicavano maggiori diritti, il popolo viveva in ristrettezze economiche e il conflitto mondiale peggiorava le cose. Giorgio V temeva che l’ospitare il cugino spodestato potesse scatenare il malcontento popolare, che gli inglesi non avrebbero accettato di fornire ospitalità ad una tedesca, la zarina Alessandra, proprio mentre stavano combattendo una guerra contro. Non poteva anteporre il sentimento familiare alle questioni di stato e fu così che rimandò la decisione di salvare suo cugino.
Va tuttavia precisato che la cosa non dipendeva unicamente da lui, Giorgio V non era un monarca autocratico, nel Regno Unito c’era un parlamento e la questione andava dibattuta nelle stanze della politica. Lord Mountbatten, che ricordiamo era imparentato con la zarina, attribuì la decisione del mancato salvataggio della famiglia imperiale russa al Primo Ministro Lloyd George, mentre Lord Stamfordham, identificò in Giorgio V il responsabile del mancato soccorso ai sovrani di Russia, nonostante il governo britannico avesse assunto una posizione in tal senso favorevole. Fu un gioco di rimbalzi e di rimandi insomma che farà dire a Theo Aronson, biografo reale della BBC, che la morte di Nicola II fu il prezzo per conservare George V sul trono, non accomunando la cattiva reputazione dello zar alla sua.
Sappiamo diverse cose dal “Journal intime de Nicolas II”, che raccoglie gli scritti dello zar dal dicembre del 1916 fino al giugno di due anni dopo, lungo 550 giorni di prigionia, nei quali emerge una persona timida, schiva, cortese, impressionabile. Il giornalista Jean-Christophe Buisson che ha curato la prefazione del libro sostiene addirittura che “non avrebbe mai dovuto fare lo zar, non era adatto a governare, amava leggere, ma non prendere decisioni e proprio questa incapacità non riuscì a prevenire la morte della sua famiglia…”.
Buisson tra l’altro arricchisce i diari di note che aiutano la comprensione dello scenario storico che fa da sfondo alle angosce di Nicola II spese nel corso di giornate uggiose, lontane dal trambusto della rivoluzione. Lo zar nei diari annotò la sua quotidianità che però prelude ad una evoluzione e anche se non ne ha certezza, in fondo capì che sarebbe finito come il suo impero, distrutto. Visse una quotidianità sospesa, da imperatore messo in discussione per le sue scelte militari, attaccato anche per avere al proprio fianco una moglie tedesca detestata dal suo popolo. Nicola era come incapace di confrontarsi con le sfide della storia, annotava la temperatura esterna, parlava del tempo meteorologico, ormai disconnesso dal tempo storico. Stava immerso nella disperazione sua, del suo popolo, della guerra e dei suoi orrori, ma parlava della sua vita domestica e dei figli come se avesse ormai abdicato psicologicamente al suo ruolo. Cinque giorni prima dell’effettiva abdicazione scrisse: “…a Pietrogrado alcuni giorni fa sono cominciati i disordini. Anche le truppe, purtroppo, hanno cominciato a prendervi parte. E’ una sensazione terribile sentirsi così lontani e ricevere soltanto notizie brutte e frammentari…”.
In un ipotetico sliding doors però, se Nicola II avesse saputo prendere decisioni, avrebbe capito a che punto sarebbe stato saggio accettare prima che fosse troppo tardi, la separazione dalla famiglia, per farla espatriare, questa volta con l’appoggio del cugino Giorgio V, che d’altra parte porterà in salvo, nel 1919, la zia zarina madre Marija Fedorovna e molti aristocratici rifugiati come lei in Crimea, come gli Yusupov, grazie all’invio della nave da guerra HMS Marlborough.
Fuori dalla Russia gli avvenimenti subivano interpretazioni diverse, Theo Aronson scrive che “… (Giorgio V) capì che, per la maggior parte dei suoi sudditi, lo zar era un tiranno sporco di sangue… che non era il momento, per un monarca costituzionale, preoccupato della propria posizione, stendere la mano dell’amicizia ad un autocratico – per quanto gli fosse strettamente legato. Così la famiglia imperiale russa fu lasciata al suo destino…“. La storica Catherine Merridale, autrice di “Lenin sul treno”, fa riferimento invece ad un’offerta di asilo che venne ritirata “per motivi personali e diplomatici”. In essa si affermava che Sir George Buchanan, l’ambasciatore britannico in Russia, aveva inizialmente messo a punto una proposta per il passaggio della famiglia imperiale in Gran Bretagna, ma solo per farla cadere successivamente. Il principe Michael di Kent, cugino della regina d’Inghilterra, dirà in un’intervista del 2010 che, nonostante la Gran Bretagna avesse accantonato la richiesta di asilo per lo zar, “Giorgio V aveva espresso la speranza di poter salvare il suo parente…”.
Veniamo infine ad una lettura esplicativa sull’argomento, contenuta in “The race to save Romanov”, della storica britannica Helen Rappaport, un libro che racconta come reagì il mondo alla fine della famiglia reale russa.
Re Giorgio V, nel luglio del 1918, durante gli ultimi mesi della guerra, mentre l’esercito inglese resisteva, decretò che la sua corte dovesse vestirsi a lutto per un mese. Come sottolinea la Rappaport, nel paese non era morto nessuno e il conflitto, pur con terribili conseguenze, si stava risolvendo a favore della Gran Bretagna, ma un sovrano era scomparso, per dichiarazione anche dei suoi uccisori, i bolscevichi avevano ammesso di aver giustiziato lo zar e insieme a lui l’intera famiglia Romanov.
Secondo la Rappaport, Giorgio V finì soffocato dai sensi di colpa per la morte del cugino ma anche per la fine della dinastia Romanov e della Russia imperiale. Pensò che non avesse fatto niente per impedire che la ragione di Stato e la prudenza fossero più forti delle ragioni del sangue. Non gli restò che andare a commemorare la morte di Nicola II nell’unica Chiesa ortodossa di Londra, intonando canti slavi nel fumo dell’incenso.
Autore articolo: Rita Cavalca
Bibliografia: Helena Rappaport, The race to save Romanov ; Journale intime de Nicolas
Rita Cavalca, laureata in Materie Letterarie, psicopedagogista e counselor rogersiana, è appassionata della storia delle monarchie letta attraverso le vicende dei suoi protagonisti