Paesaggi di Tripolitania

L’architetto Carlo Enrico Rava visitò la Tripolitania nel 1927 e descrisse dettagliatamente i luoghi e le persone nel suo diario poi pubblicato col titolo di Ai margini del Sahara.

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Raggiungiamo Azizia, mentre il sole nascente illumina la Gefara d’un tenue riflesso dorato, e, abbandonando la grande camionabile del Gebel che profila in lontananza i suoi bastioni, neri contro il cielo chiaro, volgiamo a destra in direzione di Bir-Ganem: seguiamo una strada piuttosto cattiva, che serpeggia fra le “sidre”, alture a fomra tondeggiante o conica d’un tono verdegrigio, arido, smorto, che qua e là s’ingiallisce in macchie riarse, il colore della stessa; ma, in questa stagione, anche la Gefara è fiorita, e infatti sul suo fondo pallido si distaccano gli alti candelabri dell’asfodelo, i lenti pendii si coprono di piccoli ignoti fior ia grande zone, ora rosse ora gialle, ora azzurre, mentre, nella corsa della macchina, ci viene incontro, col vento, a folate, il profumo intenso della “retama”, la bianca ginestra del destero. Tocchiamo Bir-Ganem, poi pieghiamo un po’ a sinistra avvicinandoci di nuovo alla linea del Gebel: ecco Bir-el-Beda coi suoi pozzi, centro importante d’abbeverata per le cabile nomadi. Pasasi da qui l’anno scorso recandomi a Casr-el-Hagg, e ricordo che trovai a Bir-el-Beda l’accampamento di uno di questi grandi Nomadi, che visitai con interesse. Oggi, nessun capo importante sosta nei dintorni, ma una cabila vicina ha condotto all’abbeverata, sotto la sorveglianza di pochi arabi, i suoi cammelli bianchi, e, fra gli altri, uno piccolo, giovanissimo, certo nato da poco, ancora sproporzionato, alto e stretto, tutto gambe, delizioso e quasi commovente nelle sue mosse improvvise,  goffo e impacciato. Mentre l’automobile rallenta per non investire i quadrupedi che si scansano a fatica, ci raggiunge dalla parte contraria, seguendo la pista che qui costeggia la strada, una piccola carovana, è un’intera cabila che si sposta: gli uomini, vecchi, giovani e ragazzi, a piedi, avvolti nel barracano di lana bruna, guidano il corteo dei cammelli carichi di suppellettili e di masserizie, piramidi oscillanti ricoperte di tappeti beduini a striscioni rossi e neri, sormontate da strane gabbie di paglia tesa di stoffa, entro ognuna delle quali una donna ondula mollemente al passo lento dei quadrupedi.

Comincia a far caldo e la giornata promette di essere abbastanza rovente. Costeggiamo ora, alla nostra sinistra, gli speroni del Gebel, tagliato da strette e profonde valli, che allineano una serie di contrafforti paralleli e perfettamente simili tra loro; in alto, lungo la piatta cresta dell’enorme massiccio montuoso, cerco di identificare, aggrappati alle rocce fulve e sanguigne, i paesi che conosco, Chicla, Riaina, Sciagarna, Jfren, poi, ai piedi di un contrafforte, appaiono di colpo, come presentate sopra una piattaforma calcarea, le case in terra rossiccia e i ciuffi di palme di Casr-el-Hagg, pittoresca località berbera annidata selvaggiamente sotto i pendii del Gebel.

 

 

 

 

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