Storia del Cristianesimo: Padre Matteo Ricci

A pochi chilometri da Pechino, in un sobborgo chiamato Cialan, tra le più antiche residenza imperiali, sorge un cimitero che accoglie uno strano mausoleo su cui si legge: “All’amante della rettitudine, che venne dall’Occidente”. Fu il governatore di Pechino, nel 1610, a dettare l’epigrafe. E’ questa la tomba del gesuita Matteo Ricci.

Nel 1561, a nove anni, aveva iniziato gli studi nel Collegio dei Gesuiti della città natale, Macerata, mentre aiutava il padre farmacista che lo voleva avvocato. Nel 1568 fu inviato a Roma per studiare giurisprudenza, ma attratto dagli ideali e dalle attività della Compagnia di Gesù, nel 1571, entrò nel noviziato dei gesuiti a Sant’Andrea al Quirinale, interrompendo gli studi di giurisprudenza. Nel percorso della sua formazione si dedicò alla filosofia e alla teologia, insieme a studi scientifici, di astronomia, geografia, cosmologia e matematica. Nel giugno 1577 Everardo Mercuriano, padre generale dei gesuiti, lo inviò in Oriente come missionario. Insieme a tredici confratelli, il 24 marzo 1578, salpò da Lisbona per l’India e dopo sei mesi di navigazione arrivò a Goa, sul Mar Arabico.

Quì si ammalò gravemente. Fu portato a Kochi per curarsi. Ristabilitosi, tornò a Goa, dove fu ordinato sacerdote il 26 luglio 1580. Dopo un soggiorno di due anni, padre Alessandro Valignano, visitatore delle missioni gesuite in Asia, gli chiese di partire per la Cina e così Matteo Ricci si rimise in viaggio.

Approdò a Macao il 7 agosto 1582, vi studiò il cinese, poi ottenuto il permesso di stabilirsi a Zhàoqìng vi si stabilì. L’impenetrabilità del Celeste Impero per la prima volta veniva violata. Nel misterioso Catai, Ricci fu ritenuto un barbaro poi il giudizio su di lui mutò radicalmente. Nel 1589 si trasferì a Shao-chou ormai profondamente integrato nella società locale. Vestiva, infatti, alla maniera dei letterati cinesi, con abiti di seta, e si era fatto crescere la barba e i capelli. In più, aveva diffuso tra i mandarini degli apprezzatissimi orologi, prismi veneziani, cartografie e mappamondi, libri e stampe di città europee.

La perfetta conoscenza della lingua, scritta e parlata, così come della storia cinese e del confucianesimo, furono gli strumenti principali grazie ai quali poté aprirsi un varco nella Grande Muraglia delle ostilità e dei pregiudizi dei potenti mandarini di corte e giungere sino a Pechino, la “città proibita”, lì dove viveva l’imperatore. Non mancarono difficoltà, ma egli non rinunciò mai alla sua fede, anzi consegnò all’imperatore Wan Li un dipinto di Gesù ed uno della Vergine, un breviario, una croce incastonata di prete preziose, un vangelo e diverse reliquie di santi. Wan Li lo scelse come suo consigliere, divenne un dignitario di corte. Redasse poi una sorta di catechismo in cinese, il Tiānzhǔ shíyì e, nel 1610, ottene la licenza per celebrare messa in pubblico, iniziò la costruzione della prima chiesa cristiana in stile occidentale nota come Nantung, “la chiesa del sud”. Proprio quell’anno però esalò l’ultimo respiro.

Ancora oggi, superate le rivoluzioni che costarono alla sua tomba ignominiose profanazioni – nel 1900, al tempo dei Boxer, e nel 1968, al tempo delle Guardie RosseMatteo Ricci è riconosciuto dalla Repubblica Popolare non tanto come un missionario cattolico, quanto come un sapiente d’Occidente, portatore di una diversa cultura, umanistica e scientifica.

 

 

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

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