Osservazioni sulla bonfica veneta
La pianura padano-veneta è alluvionale. Si è formata grazie all’attività di alcuni fiumi, tra cui Adige, Frassine, Bacchiglione, Brenta e Piave. Forniamo qualche osservazione sulle opere di bonifica.
Fino al XVI secolo enormi zone nella parte bassa erano caratterizzate da ristagno idrico che portava all’accumulo di acqua nelle bassure, localmente “valli”, con formazione di veri e propri laghi, anche di discreta profondità, fedelmente rappresentati nelle carte catastali commissionate dalla Repubblica di Venezia nella seconda metà del XVI secolo.
Tali laghi si formavano a causa dell’impossibilità per le acque meteoriche, e dei corsi fluviali minori, di scolare verso il mare in quanto bloccate dalla presenza di dossi sabbiosi, localmente “arzeri”, che non sono altro che letti fluviali abbandonati dei fiumi maggiori. Infatti, a causa della scarsa pendenza della pianura padano-veneta, si ha accumulo di sabbia e detriti nel letto del fiume, fenomeno che non solo lo rende pensile ma in pochi secoli, tra i dieci e i quindici, genera un interramento.
Ad esempio, il lago di Vighizzolo si formava a causa dell’impossibilità da parte delle acque del Fratta di scolare a causa della presenza dell’arzere del Frassine, e parimenti quello di Anguillara a causa della congiunzione, nella località omonima, di due dossi fluviali afferenti all’Adige, uno che corrisponde pressappoco a quello attualmente attivo l’altro all’Adige d’Este disattivatosi verso il VI secolo d. C.
Nel corso del XVI secolo la Repubblica di Venezia, con l’obiettivo di aumentare la produzione agricola, e quindi di limitare la pericolosa dipendenza derivante dell’importazione di frumento dall’Impero Ottomano, ordinò la bonifica integrale del territorio. L’impossibilità, per motivi di costo, di effettuare il prosciugamento meccanico costrinse gli ingegneri della repubblica a ripiegare su quello per “gravità”. Concretamente questo avveniva intervenendo sugli “arzeri” con dei “tagli”, scavando degli “scoladori”, canali che allontanavano dai ristagni l’acqua e la convogliavano verso il mare, e mediante la costruzione delle “botti”, per consentire a canali e fiumi, di incrociarsi, evitando il ristagno. Si tratta di ponti-canali in cui il canale che passa sopra, solitamente più importante, è arginato, mentre al di sotto passa il canale inferiore attraverso una o più gallerie, localmente “canne”. A loro volta le canne possono avere il fondo piano sul quale scorre l’acqua a pelo libero, oppure concavo, nelle botti a sifone, rimanendo costantemente invase dall’acqua.
Per lo scavo degli “scoladori” la repubblica intervenne in due modi, realizzandoli ex novo, come nel caso del Gorzone, o disattivando un tratto di un fiume esistente come nel caso dello Scolo di Lozzo, realizzato verso il 1580 deviando il corso di un ramo del fiume Bacchiglione.
Si trattava, come detto, di una bonifica “per gravità”, riusciva ad allontanare, tanto più velocemente quanto maggiore era la differenza di livello tra il sito da bonificare e la foce, l’acqua dalle zone sopra il livello del mare ma era completamente impotente, oltre che sottoposta al fenomeno del rigurgito in caso di forti venti da est, in quelle zone situate al di sotto del livello del mare.
Una preziosa testimonianza di ciò la troviamo nella “Carta del Padovano” realizzata dal Valle nel 1784. Essa mostra, infatti, la presenza di ristagni nel Basso Padovano, anche se rispetto alla “Carta Catastale del Retratto del Gorzo”, risalente alla metà del Cinquecento, ci sono delle differenze. È infatti scomparso il lago di Vescovana, e si sono ridotti notevolmente i giganteschi laghi della Griguola e di Vighizzolo.
Una conferma della correttezza di quanto disegnato dal Valle ci viene dalla lettura delle tabelle inserite nel volume IV del “Territorio Padovano Illustrato”, del Gloria. L’estensione del territorio interessato da ristagno idraulico per, ad esempio, il comune di Stanghella è indicata in 671 pertiche censuarie, circa 0,7 kmq. Solo a partire dalla seconda metà del XIX secolo la disponibilità sul mercato di motori, a vapore prima diesel poi, sufficientemente potenti consentì di effettuare la bonifica delle zone basse, mediante lo scavo di canali di drenaggio e la costruzione di impianti di pompaggio destinati a sollevare l’acqua dalle “Valli” per trasferirla nei canali di scolo.
Autore articolo e foto: Enrico Pizzo, classe ’74, residente sui Colli Euganei. Appassionato di storia veneta e storia dei sistemi monetari preunitari.
Bibliografia: Andrea Gloria, Il Territorio Padovano Illustrato; Cristina Morandi, Il ritrovamento dell’archivio del Consorzio Vampadore, in “Terra e Storia” n. 2; Bondesan et alii, Il Brenta; Francesco Bottaro, Pesca di valle e commercio ittico a Padova nel quattrocento