Novità editoriale: “Murat alla conquista di Capri”
Dalla villa di Massa Lubrense lo sguardo del re, seguiva l’andamento quasi placido delle imbarcazioni che lentamente ma inesorabilmente si avviavano alla presa di Capri.
L’isola del golfo, caduta in mano inglese nel maggio del 1806, rappresentava una macchia per le truppe napoleoniche. Giuseppe Bonaparte in due anni non era riuscito mai nemmeno ad impensierire i britannici che la stavano occupando. L’occasione per il nuovo re di Napoli era troppo ghiotta, non solo per dimostrare al cognato imperatore di essere più capace di chi lo aveva preceduto, ma soprattutto per farsi valere come statista, comandante in capo, re.
Poteva mostrare a Napoleone di essere in grado di condurre in autonomia una campagna militare con obiettivi strategici autonomi seppure favorevole al grande piano strategico dell’impero, ma soprattutto Murat mostrava immediatamente ai suoi nuovi sudditi che le speranze avanzate dalle varie classi sociali del regno, dai notabili sino al popolo minuto, di avere finalmente un re che facesse onore alla sua fama di grande comandate militare, sarebbero state rispettate, che il nuovo sovrano sarebbe stato capace di raggiungere i propri obiettivi.
Capri era una spina nel fianco non solo perché macchiava la fama delle truppe francesi che avevano occupato il Regno di Napoli, ma anche perché quel presidio bloccava di fatto i traffici che dal porto della capitale avrebbero dovuto condurre le merci e la ricchezza a tutto il regno. Rappresentava base e rifugio per chiunque avesse voluto attentare alla stabilità del paese, e se creava imbarazzi nello stato maggiore, rappresentava anche un vulnus per l’economia e dunque un enorme impedimento
per lo sviluppo della borghesia mercantile, che andava assolutamente rimosso se si voleva godere dell’appoggio di questa classe sociale e dei notabili napoletani.
Murat percepiva l’urgenza di conquistare Capri per tutti questi motivi, e la pose in cima ai propri obiettivi immediatamente dopo essersi insediato sul trono.
Quella che ci viene raccontata in questo agile volume di Clemente Ultimo, che ha il pregio di avere una scrittura scorrevole e senza fronzoli, è l’azione militare murattiana che finirà di diritto ad ornare l’Arc de Trionphe napoleonico, non solo per tutti i motivi che abbiamo detto, ma anche e forse soprattutto perché rappresenta un’impresa anfibia, per il grado di difficoltà e per la strategia utilizzata per portarla a termine, tra le più complesse mai realizzate nel periodo, e certamente una delle maggiori vittorie delle truppe francesi contro quelle inglesi in quelle condizioni.
La puntuale descrizione degli eventi ci riporta il dettaglio di un avvenimento forse a volte troppo trascurato nel grande quadro del periodo napoleonico, ma che ebbe importanti risvolti, non solo per liberare sul piano economico e sociale le forze che il regno avrebbe potuto mettere al servizio del nuovo sovrano, ma anche per le aspettative e i desideri di quelle classi sociali che esigevano finalmente un cambio di passo sostanziale per il Paese.
Era solo il primo passo, Murat lo sapeva, e se davvero voleva conquistare con le terre il cuore dei suoi sudditi, avrebbe dovuto eliminare definitivamente la minaccia anglo-borbonica che gravava sul regno. Per farlo avrebbe dovuto creare le basi per sostenere le sue ambizioni coi pilastri di una solida base sociale e di un esercito autonomo capace di agire a prescindere dalle esigenze dell’Impero. Il tentativo di conquista della Sicilia, due anni dopo la presa di Capri, dimostrerà al re che ci sarebbe voluto ancora più tempo per ottenere questi risultati.
Questa gradevole opera divulgativa di Clemente Ultimo per l’editore D’Amico, nella collana Historia Regni, racconta un interessante squarcio di quegli eventi che coinvolsero il meridione d’Italia e furono gravidi di conseguenze anche per il risorgimento italiano. Rappresenta un altro tassello per comprendere un’epoca piena fascino che ancora oggi appassiona molti studiosi.
Autore articolo: Giuseppe De Simone