Napoli e l’obelisco di San Domenico
La guglia di piazza San Domenico Maggiore a Napoli, fu voluta nel 1656 dal popolo napoletano come ex-voto a san Domenico per scongiurare la pestilenza che stava falcidiando la città.
Questa di San Domenico è una delle quattro guglie di Napoli. Simboli della religiosità popolare, esse si presentano come immense macchine da festa che fondono architettura e sentimento religioso.
Posizionata al centro dello spiazzo, la guglia fu terminata solo nel secolo successivo. I lavori iniziali furono affidati a Cosimo Fanzago poi seguito da Francesco Antonio Picchiatti, da Lorenzo Vaccare e, nel 1736, da suo figlio Domenico Antonio Vaccaro che portò a termine l’opera entro l’anno seguente. I lavori proseguirono a rilento probabilmente anche perché furono rinvenuti in zona i resti archeologici di porta Cumana, fatto sta che ancora nel 1747, a quasi un secolo dall’apertura del cantiere, la guglia mancava della statua di San Domenico che oggi guarda la città.
Picchiati, Fanzago e Lorenzo Vaccaro progettarono l’evoluzione di tre basi parallelepipede, sulle quali si innesta la piramide, fortemente rastremata, all’apice, che culmina con la scultura bronzea di San Domenico. Alto circa ventisei metri, l’obelisco presenta al secondo livello dal basso i quattro stemmi dell’Ordine dei Predicatori, degli Asburgo di Spagna, della città di Napoli e del vicerè Pedro Antonio de Aragón, in carica dall’8 aprile 1666 al 3 gennaio 1671.
Quattro busti di santi domenicani sono altresì posti nei quattro medaglioni collocati su tutte le facciate del monumento: san Pio V, sant’Agnese, san Vincenzo Ferrer e santa Margherita. Appartengono invece all’opera diretta del Vaccaro i fregi sul vertice alto del terzo ordine che incorniciano altri santi domenicani: in basso, sono i medaglioni con san Giacinto, san Pietro Martire, san Ludovico e san Raimondo, mentre ancora più in alto, in altri medaglioni più piccolo sono santa Rosa da Lima, san Tommaso d’Aquino, sant’Antonio e santa Caterina.
Squadrato e massiccio, l’obelisco si eleva con un uno slancio contenuto dalle forme barocche. Alla sua realizzazione concorsero i Padri Domenicani, il cui ordine è celebrato nell’opera, e gli eletti del popolo che si impegnarono a versare circa 500 ducati. Sul basamento dell’obelisco, infatti, fu preteso che fosse ammesso l’effige della Città di Napoli alle decorazioni proprio dagli stessi eletti impegnati, a motivo di convalida dell’accordo siglato tra le parti.
Autore articolo: Angelo D’Ambra