Napoli contro Federico II
Non bastarono la fondazione dell’Università, la costruzione di una nuova darsena, l’incremento della flotta, l’inserimento dello scalo cittadino nella rete anseatica. Napoli continuò ad essere sempre ostile all’Imperatore, orgogliosa del suo particolarismo, gelosa delle sue libertà cittadine.
L’Università può essere assunta a specchio di queste vicende. L’insegnamento era completo con le facoltà di arti, teologia, diritto e medicina, ma subì eclissi frequenti e mai si elevò al rango delle più illustri, quelle di Parigi e Bologna. Sospesa una prima volta, dal 1229 al 1231, durante il conflitto tra l’Imperatore e Gregorio IX, fu ricostruita per decreto regio nel 1234 e ancora chiusa nel 1239 con la ripresa del conflitto, piombando nella rovina. Federico II decise di sopprimerla ma poi desistette. Lo spirito di indipendenza delle città del regno portò Salerno a rivendicare la sua antica scuola terapeutica e nel 1245 Corrado II vi designò l’unica università dello stato. L’Università di Napoli riprese la sua esistenza solo più di venti anni dopo, nel 1268, sotto Carlo d’Angiò.
Ma non furono solo certi fallimenti, una economia stagnante oltre le aspettative e l’inimicizia del papato, di Innocenzo III e i suoi successori, a turbare il rapporto tra Napoli e Federico II. L’Imperatore, nell’esercizio della “plenitudo potestatis”, si scontrò col malcontento di città e feudatari. La moderna immagine di Federico II, in effetti, stride con i fatti storici e non collima con quella lasciataci dai gran parte dei suoi contemporanei. I nemici dello Stupor Mundi erano molti anche nell’Italia meridionale, nel suo Regno di Sicilia, a Napoli, anzi è forse il caso di dire che è qui che la lotta contro l’Imperatore fu più aspra e sibillina.
Napoli aveva una lunga tradizione di libertà legata all’esperienza del ducato bizantino, di esso aveva nostalgia. Ovviamente l’inserimento di commercianti e nobiltà nella vita dell’Impero permise a diverse famiglie di trovare una nuova vantaggiosa dimensione, benefici, convenienze di natura economica: i nobili poterono accedere a cariche pubbliche ed entrare a far parte del ceto dei funzionari regi; i commercianti poterono espandere i loro traffici e vendere con facilità i propri prodotti nei vari dominii della corona. Sicuramente, poi, le grandi famiglie napoletane sentivano il fascino della regalità degli Svevi e della vita di corte, così dal seno della nobiltà napoletana uscirono alcuni tra i principali funzionari: Mario Rapistro, giustiziere nel 1226, Giovanni Vulcano nel 1239, Pietro Castaldo nel 1240. Altri furono al servizio di Federico II e dei suoi figli: pensiamo a Landolfo Caracciolo, valletto di Corrado IV, Marino e Corrado Capece, Riccardo e Giordano Filangieri, entrambi al seguito di Manfredi. Tuttavia quello svevo restò un intollerabile regime accentratore.
In effetti la città, già assediata nel 1191 da Enrico VI, padre di Federico, fu assediata anche dal figlio nel 1211, perchè si schierò con Ottone IV. Dal 1231, con le constitutiones di Melfi, la centralizzazone subì un’accellerata e i rapporti tra imperatore e Napoli tornarono tesi. Finchè i napoletani si videro confermate le loro consuetudines e in base ad esse si ressero, filò tutto bene, ma il nuovo indirizzo mutò tutto. Fu cancellata ogni parvenza di vita politica locale, cessò ogni autonomia d’iniziativa politica, i nuovi funzionari regi ebbero precise regole di compotamento e finirono seriamente redarguiti e puniti per le loro imparzialità. Questo stato di insofferenza era appesantito dalle continue collette rese necessarie dalle tantissime guerre di Federico II contro la Chiesa ed i comuni dell’Italia settentrionale.
L’insofferenza fu tale che, già nel 1231, si richiamava l’attenzione dell’Imperatore sulle guarnigioni di Napoli e dell’Isola del Salvatore, esigue per controllare una ennesima probabile rivolta.
Abrogazione delle consuetudini, perdita delle libertà cittadine e crescenti donativi portarono alla formazione ed al consolidamento di un partito anti-svevo in città. Morto Federico II esso ebbe nelle mani il totale governo di Napoli.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia: M. Fuiano, Napoli nel medioevo