Murat incontra Napoleone
Duecentocinquanta anni fa nacque Murat. Riprendiamo la narrazione della sua vita accingendoci a raccontare del suo incontro con Napoleone. I due ebbero un rapporto intenso, fatto di contrasti, luci ed ombre. Questo è uno dei temi più dibattuti dalla storiografia napoleonica e per tale ragione merita un’attenzione particolare.
Come capitano del 12° Cacciatori a cavallo, Murat si occupa del secondo e del terzo squadrone, assume l’amministrazione dell’intero reggimento e riesce a farsi confermare il 4 agosto 1793 nel suo grado provvisorio. Presiede persino il Comitato epuratorio, formato nel reggimento per sottoporre la condotta dei capi ad un controllo severo. Scaturiscono una serie di denunce ed accuse tra lui e Landrieux che alla fine è espulso e incarcerato. Anche Gioacchino è arrestato ad Amines il 28 floreale anno II ovvero il 17 maggio 1794 e successivamente, in pieno termidoro, Landrieux ha buon gioco a presentarsi come vittima dei Decemviri accusando Murat di robespierrismo.
Riuscirà a recuperare la libertà ma dovrà rinunciare a comandare il reggimento. E’ però lui a condurre alle Tuileries i primi ussari di cui la Convenzione possa disporre contro i sobborghi in rivolta. Tutto cambia quando, alla vigilia del 13 vendemmiaio, Barras e Napoleone chiedono un ufficiale di cavalleria energico e di sicura fede repubblicana. E’ proposto ed accettato Murat.
Al comando di 300 cavalieri egli deve recuperare 40 pezzi d’artiglieria collocati ai Sablons, sotto la guardia di 15 o 20 uomini. L’operazione riesce ed a Murat si spiana la strada della gloria: il 13 piovoso è promosso capo-brigata e pochi giorni dopo, il 10 ventoso, è chiamato come aiutante di campo nello Stato Maggiore che Bonaparte sta reclutando per l’Armata d’Italia.
Napoleone vuole che la cavalleria sia affidata ad uomini decisi e di coraggio, tuttavia essa è debole e male organizzata, reduce da un duro inverno sulle rive della Durance e del Rodano. Bisogna ricostruirla affidandola agli uomini giusti perchè nell’istante dell’inseguimento possa essere scagliata per raccogliere i più grandi vantaggi della vittoria. Il generale in capo dell’esercito d’Italia non lascia oziare i suoi ufficiali nei servizi dello Stato Maggiore, ma vuole che comandino azioni audaci.
Murat il giorno della battaglia di Mondovì accompagna Stenghel, il generale capo della cavalleria, con un migliaio di uomini del I ussari e due reggimenti di dragoni. Assalito dalle forze piemontesi, Stenghel è respinto e ucciso, Murat assume allora la direzione del movimento e compie alla testa del XX dragoni una carica che gli vale gli elogi di Bonaparte. Qualche giorno dopo sarà proprio Murat a presentare al generale piemontese Colli i punti della sospensione d’armi. Napoleone è così soddisfatto che incarica ancora Murat di portare la notizia della vittoria a Parigi con ventuno bandiere prese ai piemontesi.
Murat non è ancora stato nominato colonnello effettivo che è confermato di colpo Generale di Brigata, il 10 maggio 1796. A Parigi, appare come l’ “Apollo della guerra“, secondo il detto di Bernardin de Saint-Pierre, come il “Carnevale della gloria” per Talleyrand, e come un “Capo beduino, imperatore dei credenti”, secondo la mordace espressione di Madame Stael. Ed è proprio a Parigi che Murat inizia al sua imprudente corte a Giuseppina Bonaparte.
Il suo posto però è ora in Italia.
Il 30 maggio del 1796 è a Valeggio a guidare la carica contro 3000 dragoni austro-napoletani nei piani di Borghetto, mentre 4000 uomini di fanteria son trincerati sulle alture e nel villaggio. Napoleone scrisse nelle sue memorie: “E’ la prima volta che la cavalleria francese si misura con vantaggio contro quella austriaca. Essa conquista nove bocche da fuoco, due bandiere e 2000 uomini”. Il successo è travolgente e la stima per Murat cresce in Bonaparte che fa rapporto al Direttorio il giorno dopo la battaglia con le seguenti parole: “La nostra cavalleria comandata dal generale Murat ha fatto prodigi di valore; il generale ha liberato da solo parecchi cacciatori che il nemico stava per far prigionieri”.
Fuori dai ranghi militari, la carriera di Gioacchino lo tramuta nuovamente in diplomatico. E’ inviato a Genova per consegnare al Senato, infeudata all’Austria, una lettera comminatoria a proposito di assassinii di francesi commessi nel territorio della Repubblica.
Chiusa questa parentesi, torna sui campi di battaglia a comandare il 16 luglio l’avanguardia del generale Vaubois, incaricata d’occupare la Toscana, prendendo Livorno.
Il 18 agosto è a Casal Maggiore con una colonna mobile di cento cavalieri, mezza brigata di fanteria e due pezzi d’artiglieria leggera, intento al disarmo degli abitanti ed alla riscossione dell’ammenda imposta da Bonaparte per la rivolta scoppiata nel paese.
Il 2 settembre è a Rovereto, il 5 a Bassano, il 6 a Verona. Ovunque trionfa con le armi di Francia.
Ormai la seconda fase della campagna d’Italia è conclusa e Murat si è guadagnato il comando della seconda brigata di cavalleria del generale Kilmaine: Gioacchino proteggerà da nord le operazioni dell’assedio di Mantova.
E’ di questo periodo la storiella della Duchessa d’Abrantes secondo cui, in una colazione, Murat lasciò capire d’aver conosciuto molto intimamente Madame Bonaparte…
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Fonti librarie:
M. Mazzucchelli, Gioacchino Murat, 1932
G. Doria, Murat Re di Napoli, 1966
R. De Lorenzo, Murat, 2011
A. Dumas, Murat, 2005