Montevergine, visita alla Mamma Schiavona

Montevergine è tra i più sacri luoghi del Sud Italia.

Muovendo da Napoli ci lasciamo alle spalle il Sud solare, ardente, popoloso rinfrescato dalla brezza del Mediterraneo per addentrarci nei territori d’Irpinia, silenziosi, irsuti, dominati da selve fitte e nebbie. Qui in inverno le nevi si accumulano per metri e metri a precludere i passaggi e le città si rannicchiano spaurite in fondo alle vallate.

Da queste parti il monte Partenio si innalza sino a 1480 metri a nord di Mercogliano, un luogo ideale per San Guglielmo da Vercelli che qui trovò rifugio nel XII secolo. Aveva girovagato per l’Italia, era stato a Santiago de Compostela ed in Terra Santa per poi fermarsi alla corte di Ruggero, conte di Sicilia, del quale divenne confessore.

Nessun luogo gli sembrò più adatto alla meditazione delle montagne selvose irpine. Il Redentore gli apparve e gli ingiunse di fondare un tempio dedicato alla Madonna, il santo obbedì ed il Partenio, che già era stato eletto dai pagani a luogo di culto per Cibele, fu scelto per condurvi vita contemplativa secondo gli insegnamenti di Cristo. Era l’anno 1128 ed il monte prendeva il nome dal volto bruno d’una Madonna bizantina appartenuto all’imperatrice Pulcheria e venerato prima a Costantinopoli, poi traslato a Napoli e quindi inviato da Caterina di Valois al monastero.

Montevergine divenne per tutti la casa di quella che con affettuosa bonomia venne chiamata “Madonna schiavona”, appellativo rivolto ai sudditi del Regno di Napoli divenuti schiavi ottomani. Si diffusero i pellegrinaggi, il monastero si ingrandì, poi apparvero i venditori ambulanti, gli alberghi, i primi luoghi di ristoro perché sempre più numerose si facevano le testimonianze di prodigi.

Il Sud si impadronì di Montevergine, dei suoi incantevoli tramonti tra le nuvole argentate e l’occidente rosso. I pellegrinaggi si fecero più intensi crescendo per la Pentecoste e le giornate dei primi di settembre e divenendo parte del folklore popolare. Coi secoli che passavano tamburelli, cembali, fisarmoniche, fiori, colori in trionfo, motori e clacson, ragazzi che sgranocchiano dolciumi iniziarono a far dimenticare il silenzio caro a San Guglielmo.

Le coppie si giurano amore al cospetto di vaste foreste e panorami stupendi che si allargano lontano nelle giornate di estrema limpidità. Anche quando la piana circostante è ribollente di calura, l’aria rimane leggera e prima del tramonto si sente freddo.

Un tempo vi si arrivava in carrozza o su carri e calessini, poi a piedi, oggi ci si arriva con un qualsiasi veicolo a motore su strade comode (o in funicolare, se solo si decidessero a ripararla!) ma lo spirito dei pellegrini sembra lo stesso. Numerose le scene di contrizione tra le intemperanze di veri o presunti devoti. Tra chi cerca il perdono divino e chi solo un momento di relax, davanti alla scalinata del Santuario si inginocchiano vecchine devote.

Gli uomini della “regola” hanno allestito per quanti accorrono una farmacia che espone i distillati e le tisane frutto del loro lavoro con erbe raccolte ai piedi del Partenio. La prima tappa per il visitatore è però la Basilica Cattedrale eretta nel 1961 in stile romanico con l’altare racchiuso da un coro ligneo in noce e radica di olivo, mentre sul fondo è posto il trono di marmo dove era collocato il dipinto della Madonna oggi sostituito da un crocifisso. E’ nella Basilica Antica, risalente al 1126, che è possibile ammirare il quadro. Esso è posto nella cappella edificata intorno al XIII secolo da Filippo d’Angiò.

La Madonna è raffigurata seduta in trono, tra le sue braccia tiene Gesù Bambino. La mano destra del Bambino tiene il panneggio del manto della Madonna all’altezza del seno. Entrambe le immagini hanno il capo cinto da una aureola, ma solo il Bambino ha la corona d’oro donata nel 1712 dal Capitolo di San Pietro in Vaticano: alla Vergine la corona fu rubata nel 1799. Alcuni angeli contornano la Sacra Immagine della Madonna e nella parte superiore, ai lati del trono, troviamo due piccoli medaglioni all’interno dei quali era conservato “il latte materno della Vergine” e nell’altro un “frammento del suo velo”.

Secondo la leggenda questo quadro sarebbe stato dipinto da San Luca a Gerusalemme e da Antiochia sarebbe arrivato prima a Costantinopoli e poi a Montevergine, qui portata per fuggire all’iconoclastia che prendeva piede a Bisanzio. Le tavole su cui è incisa l’immagine sono di pino. Il dipinto è alto 4 metri e 30 per 2 metri e 10.

Tappa successiva è la cripta di San Guglielmo che conserva le spoglie del santo e numerose antiche reliquie lungo le navate laterali con le cappelle dedicate a Sant’Eleuterio e Sant’Antia, Santa Giuliana e Santa Faustina, San Costanzo e San Deodato, Barbato di Benevento e San Massimo, San Giasone e San Mauro, San Mercurio e San Potito, Sant’Ermolao e San Modesto, San Vittore e San Prisco.

Toccante la sala degli ex-voto, espressione del sentimento popolare, poi una una ricca esposizione di opere d’arte e presepi, frutto di donazioni, porta il visitatore in un viaggio nel bello.Tutto ciò fa di Montevergine un monumento nazionale. Nel museo sono conservate, tra l’altro, una tomba romana del terzo secolo, una vasta pinacoteca con opere di Luca Giordano e del Guercino ed un crocifisso ligneo del tredicesimo secolo. La frenesia moderna incontra così il silenzio dei Benedettini.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

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Un pensiero su “Montevergine, visita alla Mamma Schiavona

  • 30 Dicembre 2016 in 19:02
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    Ci andavo da ragazza per la juta. Quanto mi manca!!!

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