Memorie di liberali napoletani del 1848

Leopoldo Pilla, nato a Venafro il 20 ottobre del 1805, fu chirurgo militare assegnato all’ospedale militare della Trinità. Fu inviato in Germania per approfondire lo studio delle malattie infettive e scrisse diversi trattati in merito. Si dedicò anche allo studio della mineralogia e, abbandonata la medicina definitivamente, nel 1839, aprì una scuola di geologia a Napoli. Nella capitale finì presto malvisto per le sue idee liberali. Gli si impotarono anche trascorsi carbonari da parte del padre, Nicola, anch’egli medico. Ottenne però l’incarico temporaneo di professore di mineralogia all’Università di Napoli. Il granduca di Toscana lo volle come insegnante anche all’Università di Pisa. Convinto patriota, nel 1848, allo scoppio della Prima Guerra d’Indipendenza, divenne capitano del Battaglione universitario toscano, morendo a Curtatone il 29 maggio. Questa è solo una delle tante storie di giovani meridionali che dedicarono la propria vita al sogno unitario.
Si ricordi Girolamo della Valle, ricco proprietario di Santa Maria Capua Vetere. Il padre Michele, che nel 1799 arringò il popolo contro le truppe sanfediste, gli inculcò l’amore per la libertà e pagò con un anno di reclusione nel carcere del Carmine di Napoli. Lo zio Crescenzo, ricoprendo la carica di capitano della Guardia civica nel 1799, si segnalò per le salde idee repubblicane e rivoluzionarie ed ebbe la stessa sorte. Entrambi furono liberati con indulto emanato dal re Ferdinando IV il 30 maggio 1800, ma per vari anni furono sorvegliati speciali. Girolamo divenne sindaco nel 1848, ma fu allontanato dalla catica con sovrano rescritto del 29 novembre del 1849. Perchè? Il 15 maggio del 1848, con una trentina di patrioti, sapendo che da Capua doveva partire un treno diretto a Napoli carico di soldati inviati per reprimere i sommovimenti, si diede a svellere i binari ferroviari, ritardando così il passaggio del convoglio. Riconosciuto colpevole, fu inserito nella lista degli attendibili per ragioni politiche, venne esiliato in domicilio forzoso in Molise nel 1851 e sottoposto a stretta vigilanza della polizia. Nel 1860 ritornò a Santa Maria e fu eletto capitano della Guardia nazionale. Il 14 settembre ottenne il comando provvisorio della piazza dal generale Giuseppe Sirtori. Calmate le acque tornò ad esser nominato sindaco.

Il nucleo di giovani liberali meridionali si costituì quasi interamente negli anni della formazione universitaria e del tirocinio professionale. Come nel caso di della Valle, provenivano da famiglie della borghesia di provincia, spesso già con un passato tra i repubblicani del 1799 o i costituzionalisti del 1820. E’ questa anche la vicenda dell’avvocato Antonio Scialoja di San Giovanni a Teduccio. Questi crebbe infatti in un’ambiente di tradizioni antimonarchiche: aveva il nome di uno zio paterno decapitato a Procida nel 1799 per aver aderito alla repubblica. Scialoja insegnò politica economia e diritto commerciale nell’istituto privato di Ruggiero De Ruggieri, stringendo una profonda amicizia con Pasquale Stanislao Mancini. Ancora studente, s’era pure occupato di fisica e fotografia, pubblicando un Sunto ragionato del dagherrotipo del sig. Melloni, e poi I principi della economia sociale esposti in ordine ideologico. Aperto alle nuove idee scentifiche ed alle teorie economiche liberali, fu un animo acuto e intelligente, destinato ad avere più estimatori fuori dalla sua patria. Nnel 1846 venne nominato professore di economia politica all’Università di Torino. Rientrò a Napoli due anni dopo, sospinto dal vento rivoluzionario. Aveva già fama di difensore del liberoscambismo quando fu nominato ministro dell’agricoltura e del commercio nel governo di Carlo Troya. Sostenne in parlamento la necessità della guerra all’Austria e di un’intesa con il Regno di Sardegna, peccati gravi che, nella stagione della restaurazione, pagò con l’arresto e la condanna a nove anni di reclusione. La pena, dopo tre anni di lungaggini processuali e detenzione, gli fu commutata in esilio perpetuo. Il 25 ottobre del 185, dunque, partiva per il Piemonte, sua patria d’adozione che lo restituì all’insegnamento, stavolta presso la Camera di Commercio di Torino. L’apprezzò Cavour e divenne consultore legale dell’ufficio del catasto. Il suo nome compare in vari progetti di legge in materia economica e finanziaria. Rivide Napoli nel settembre del 1860, quando Garibaldi lo volle ministro delle finanze nel suo governo. Luigi Carlo Farini lo scelse come componente del Consiglio di Luogotenenza, ancora come responsabile delle finanze. Fu eletto deputato, poi fu nominato senatore. Fu presidente di sezione della Corte dei Conti, ministro delle finanze e ministro dell’Istruzione. Fu lui ad introdurre il corso forzoso, la sospensione della convertibilità dei biglietti di banca.

Ultima storia che ricorderemo è quella dell’avvocato Enrico Pessina prese parte ai moti del 1848 e l’anno successivo pubblicò il suo Manuale di diritto costituzionale. Dopo la restaurazione, sembrò non aver problemi con le autorità, almeno sino a quando non osò assumere la difesa di alcuni imputati nel processo alla setta denominata “Unità Italiana”. Venne allora arrestato e, dopo quattro mesi di detenzione, condannato a due anni di domicilio coatto. Francesco II lo spedì di nuovo in carcere per le sue relazioni con il rappresentante del governo sardo a Napoli. Stette due giorni in cella, poi fu rimesso in libertà e ne approfittò per riparare a Marsiglia. Rientrò in Italia per assumere la cattedra di diritto costituzionale all’Università di Bologna. Nel frattempo aveva sposato Giulia Settembrini, figlia di Luigi, all’epoca del matrimonio recluso nell’Isola di Santo Stefano. Rivide Napoli solo alla caduta dei Borbone. Qui fu nominato sostituto procuratore generale presso la Gran Corte Criminale e, con la luogotenenza del principe di Carignano, nel 1861, divenne direttore del ministero di grazia e giustizia. Ricoprì pure la carica di professore di diritto penale all’Università di Napoli, poi fu eletto deputato e infine senatore, divenendo ministro all’agricoltura, industria e commercio, ministro di grazia e giustizia e infine vicepresidente del Senato.

 

 

 

 

 

Autore articolo: Luigia Maria de Stefano

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