Memorie della Grande Guerra: l’offensiva austriaca in Trentino
La sofferenza della guerra fu acuita dal sopraggiungere dell’inverno, il primo. Il freddo però era tremendo, furono allestite baracche, scavate gallerie o usate caverne naturali come ricoveri. Mancavano cappotti, mancavano indumenti adeguati a sostenere quelle temperature e necessari per evitare congelamenti agli arti. L’esercito italiano era schierato lungo un fronte che per 400 dei suoi 600 chilometri era posto in alta montagna, tra i 2000 ed il 4000 metri. La fiducia in Cadorna era in discesa, lo spirito dei soldati era depresso, anche il ministro della guerra Zuppelli si lamentava. Il sei gennaio consegnò a Salandra un memoriale in cui criticava senza mezzi termini la politica di Cadorna, le sue perdite sproporzionate per ottenere modestissimi guadagni territoriali. Il generale invece, quand’era ancora in corso la terza offensiva, aveva diramato delle direttive per l’inverno in cui concepiva le attività come premessa della primavera. L’indicazione strategica era quella di intensificare la pressione sul medio e basso Isonzo per aprire una larga breccia e riacquistare la libertà di movimento persa nel giugno del 1915. Necessariamente la fase invernale era concepita per logorare l’avversario impegnando una frazione delle proprie unità, senza rischiare troppe perdite, e intanto preparare una riserva ben addestrata con cui sferrare in primavera il colpo decisivo. Fu soprattutto a febbraio che aumentarono gli scontri, a Plava, ad Oslavia, sul Podgora e sul Carso, con bombardamenti pressocché quotidiani e continue scaramucce notturne, ma le contromosse austriache servirono soprattutto a mascherare lo spostamento degli uomini in vista dell’attacco in Trentino…
E la primavera venne e con essa l’assalto progettato da Cadorna, ma ogni sogno d’avanzata fu scompaginato da una massiccia offensiva austriaca che, a cominciare dal 15 maggio del 1916, mise in fiamme l’altopiano di Asiago.
Con un violento bombardamento a tappetto senza precedenti, gli austriaci avviarono la Strafexpedition, la spedizione punitiva voluta da Franz Conrad von Hotzendorf, capo di stato maggiore, per vendicare il passaggio di Roma dalla Triplice alleanza all’Intesa. L’obiettivo era quello di prendere alle spalle il grosso dell’esercito italiano ed obbligarlo ad una ritirata che avrebbe aperto la strada alla pianura veneta e spinto l’Italia alla resa. Il grande sacrificio dei nostri soldati lo impedì.
Conrad era passato all’offensiva con 14 divisioni, sostenute da 1.200 pezzi d’artiglieria. Il successo all’inizio fu travolgente. Si assistette ad una irruzione degli austriaci in Val Lagarina, sulla riva sinistra dell’Adige. Le difese italiane crollarono, Cadorna fu colto di sorpresa, aveva dato scarso credito alle notizie di un attacco del genere e stava ancora pensando alla conquista di Gorizia, la linea su cui aveva attestato le sette divisioni della I Armata era troppo avanzata. Le truppe italiane ripiegarono sul Coni Zugna, sul Pasubio, su passo Buole. Le perdite furono ingenti. Gli altipiani continuarono a vedere successi austriaci. Gli italiani, respinti in Val Sugana, si ritirarono sino ad Ospedaletto andando incontro all’ira di Cadorna.
Il generale spiegò lo sfondamento delle linee italiane sull’altopiano di Asiago come la “conseguenza del cedimento di soldati di scarso valore” e ordinò la fucilazione, senza processo, di alcuni ufficiali e soldati del 141 reggimento di fanteria, messi in fuga dagli austriaci. Ora il nemico minacciava la pianura vicentina con l’obiettivo palese di prender Padova, appena settanta chilometri distante dalla linea del fronte.
Cadorna sopravvisse al governo Salandra – caduto il 10 giugno – e lanciò la 5° Armata con truppe sottratte in gran parte al fronte dell’Isonzo, rimpatriate dall’Albania e tornate dalla Libia. Nella piana vicentina l’imponente dispiegamento di uomini fu posto al comando del generale Frugoni e s’avviò ad intensi lavori per rafforzare le proprie difese sull’altopiano. Cadorna pensò di dar battaglia sull’altopiano dei Sette Comuni. L’avanzata italiana doveva procedere su due punte d’attacco ed avrebbe accerchiato gli austriaci. Il nemico però intuì la manovra ed indietreggiò abbastanza da non esser impigliato. La spinta italiana tornò rapidamente ad essere un aspro scontro per il possesso di quote di confine. La Strafexpetidion era stata bloccata.
Le asperità del terreno alpino d’alta quota imposero consistenti limitazioni al movimento delle truppe e causarono difficoltà di rifornimento alle truppe in avanzata. La fanteria austriaca avanzò ad un ritmo sostenuto su quel faticosissimo terreno, ma ne restò stremata. La Strafexpetidion fallì per il logoramento delle fanterie attaccanti e l’impossibilità di spostare in avanti artiglierie medie e pesanti mentre la difesa avversaria si rafforzava con l’afflusso di riserve.
Non vada sottovalutata neppure l’offensiva russa nella Galizia orientale, iniziata il 4 giugno. L’alto comando zarista accolse la richiesta d’aiuto italiana, costringendo così il nemico a non poter concentrare le sue energia sul fronte italiano.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia: R. Raja, La Grande Guerra giorno per giorno; A. Sema, La grande Guerra; J. R. Schindler, Isonzo. Il massacro dimenticato della Grande Guerra