Memorie della Grande Guerra: la disillusione

I modi con cui gli alpini del Susa conquistarono il Vrata sconcertarono gli austriaci. I nostri avevano liquidato le sentinelle dopo un avvicinamento protetto dalla nebbia cogliendo nel pieno sonno due compagnie di bosno-erzegovesi. I rincalzi ungheresi non si mostrarono all’altezza della situazione ed il contrattacco avvenne con 24 ore di ritardo. La strategia di Cadorna enfatizzava la forte volontà nell’eseguire gli ordini a prescindere dagli intendimenti dell’avversario, nella convinzione (tutta spiritualista) che, ove a una perfetta pianificazione fosse seguita una decisa attuazione del piano, per ciò stesso si sarebbe piegata la volontà nemica. Tale approccio finiva col prescindere da ogni tipo di conoscenza delle forze nemiche. Sarebbe presto subentrata una grave disillusione.

Si prefigurava un conflitto in cui la forza militare italiana era notevole ma non disponeva degli ausili conoscitivi atti a massimizzare il suo impiego mentre l’austriaco accettava di competere con forze minori su più fronti perché conosceva l’avversario e le sue capacità.

Lo sbalzo offensivo italiano si spinse fino a Caporetto ma non conquistò il Monte Nero. Agli inizi di giugno le unità italiane entrarono in contatto con il sistema trincerato austriaco e si segnalarono da subito grandi difficoltà nell’avanzata. In meno di tre settimane la guerra italiana era passata da guerra di movimento a piccola guerra di frontiera per poi adattarsi alla guerra statica delle trincee. I risultati sino a giugno evidenziavano i migliori esiti nell’Alto Isonzo. Qui il fiume era stato guadato e c’era una testa di ponte a Plava. Ogni notte gli italiani gettavano ponti che al mattino venivano distrutti, poi l’artiglieria avanzò e mise a tacere le batterie nemiche. Ciò sorprese gli austriaci, abituati alla poco numerosa artiglieria serba. Funzionarono invece bene per gli austriaci i contrattacchi notturni e mattinieri, piccoli ma continui, che costrinsero l’esercito italiano a bloccarsi.

Boroevic continuò a sfruttar sempre il suo efficiente servizio informativo, sapeva anche che Cadorna era in difficoltà con l’opinione pubblica italiana. Per il generale italiano la guerra sarebbe proseguita come avanzata metodica e lenta, si sarebbe combattuto per molto tempo e questo significava lo stravolgimento delle convinzioni e dei propositi che avevano portato all’alba del conflitto. Per gli austriaci era diverso, la guerra si stava combattendo così come essi avevano previsto. L’efficienza delle truppe a Plava e sul Monte Nero generò un generale entusiasmo, destinato presto a scemare. I fanti italiani scavavano in posizione sdraiata con le loro vanghette di giorno e di notte usavano pale, picconi e perforatrici con rischi sempre enormi. I risultati, a giugno, furono modesti nell’Alto Isonzo e le truppe parvero già stremate. Numerose erano state le furiose lotte corpo a corpo ma la difesa austriaca resse bene cedendo poco territorio.

Cadorna insistette sull’assoluta necessità di mantenere riservatezza sulle operazioni in preparazione ma ciò valse a poco. All’impreparazione dell’esercito su campi di battaglia del genere corrispondeva la difficoltà della società civile a rapportarsi con quel fenomeno. Non era una guerra rapida né limitata su un fronte localizzato, era invece un conflitto di lunga durata, con costi umani ed economici destinati a crescere. La capacità del fante di reggere le sofferenze di tali combattimenti non riuscivano ad essere colte lontano dal fronte. Le operazioni stavano inutilmente logorando gli italiani in continui assalti sanguinosamente ripetuti contro gli stessi obbiettivi e falliti dinanzi agli stessi ostacoli nonostante l’appoggio dell’artiglieria.

A Tolmino, 24 ore di bombardamento, non erano serviti. Attacchi venivano ripetuti anche cinque volte sullo stesso punto sempre privi di risultati. Una fascia fitta e profonda di reticolata fermò l’assalto al Monte Rosso del 14 agosto 1915 ed un’altra, soggetta a ripetuti bombardamenti, bloccò due volte l’attacco sul Mrzli.

Ormai un anno di lotta aveva creato un nucleo di soldati esperti, abituati alla disciplina più rigida ed al sacrificio, molti già feriti e provati dalle fatiche ma capaci di eseguire integralmente gli ordini. Venivano avanti gridando “Savoia” sapendo bene cosa li attendesse, ma uscivano lo stesso dalle trincee e proseguivano sotto il fuoco e se conquistavano delle posizioni, non le abbandonavano, dovevano resistere, resistere ad ogni costo e contrattaccare sempre. Ovviamente l’attacco era un’azione collettiva, ma il trauma del singolo componente diventava disastroso se trasmesso ai commilitoni e spesso una scarica di fucileria disorientava prima piccoli gruppi e poi portava ad un arretramento di massa.

La lotta riprese furibonda il 28, tra Plava e il mare, con punte di violenza molto elevate fra il 2 ed il 3 novembre.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: R. Raja, La Grande Guerra giorno per giorno; A. Sema, La grande Guerra; J. R. Schindler, Isonzo. Il massacro dimenticato della Grande Guerra

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