Marcello Piacentini, architetto del regime
Massimo esponente dell’architettura italiana durante il fascismo, Marcello Piacentini si gudagnò il riconoscimento di “architetto del regime” per il suo stile monumentale e celebrativo, perfettamente aderente all’ideologia mussoliniana.
Figlio della ricca borghesia romana di fine Ottocento, col padre Pio, anch’egli architetto, non ebbe mai un buon rapporto, ma innegabilmente un figlio d’arte. Si rifece al neoclassicismo, conosciuto appunto nell’ambito familiare, con la convinzione che fosse la sola strada per riportare in vita il mito della romanità, ma al contempo abbracciò una più ampia sensibilità artistica, maturata all’Istituto delle Belle Arti, dove conseguì il titolo di professore di disegno architettonico. Più tardi ottenne anche la laurea in architettura civile presso la Scuola di applicazione degli ingegneri, a Roma. Prima, però, emerse all’attenzione delle istituzioni ottenendo dal Ministero dei Lavori Pubblici il progetto per il Palazzo di Giustizia di Messina.
Fu l’inizio di una lunga strada che lo portò, nel 1907, a ridefinire il centro di Bergamo, nel 1910, a curare la presentazione dell’architettura italiana all’esposizione di Bruxelles, e poi a realizzare il Palazzo della Banca d’Italia, a Roma.
Viaggiò molto, in Austria e Germania, soprattutto, scoprendo la vitalità del modernismo europeo e mescolandola al suo stile. Fu così che si conquistò i consensi del movimento fascista in ascesa. I suoi lavori facevano pensare a monumenti dell’età classica, erano capaci di richiamare la gloria di Roma imperiale. Il duce nutrì stima profonda per lui e il regime gli assegnò la realizzazione dell’Arco dei Caduti della Prima Guerra Mondiale, a Genova nel 1923, la Casa Madre dell’Associazione Mutilati e Invalidi di Guerra, nella capitale nel 1924, e il Monumento della Vittoria, a Bolzano nel 1928.
L’opera genovese è a tutti gli effetti uno degli esempi principali del lavoro di Piacentini. Vede un arco di trionfo ergersi al centro della piazza, su una scalinata semicircolare che conduce alla cripta attraverso due porte decorate col fascio littorio. Tramite gli scalini si accede alla Sala delle Corone, mentre, al centro della struttura si innalza un altare geometrico in marmo rosso di Levanto. Degno di nota è il fregio della sommità dell’arco, intitolato la “Fame”, opera di Arturo Dazzi, simboleggiante le gesta dei soldati, affiancato, all’interno, dalle sculture dei lunettoni fatte da Giovanni Prini, raffiguranti la “Pace” e la “Famiglia”.
Non meno interessante è la Casa Madre dell’Associazione Mutilati e Invalidi di Guerra. La struttura, collocata ad angolo tra Castel Sant’Angelo e il Palazzo di Giustizia, fu inaugurata da Mussolini e dal re Vittorio Emanuele III, il 4 novembre del 1928. Nelle sue forme lineari e nei volumi compatti, arricchiti da particolari decò, rivive uno spirito militare chiaro e sottolineato da un torrione posto sulla facciata principale. “Si sente nell’edificio una certa affinità di sensibilità e di spirito, più che di linea, con certe fortezze”, potè commentare.
Piacentini abbracciò totalmente la filosofia di un’architettura legata ai miti classici. “Questa rinascita di valori nazionali, che si estende dal campo politico a quello morale, artistico e culturale, dopo un lungo periodo di incertezze… ci dà finalmente la sensazione della stabilità, di una base sicura su cui fondare lo sforzo di costruzione”, scrisse. Spettò a lui la sistemazione di Piazza Vittoria, a Brescia, del Palazzo delle Corporazioni a Roma, nel 1932, di Via Roma Nuova a Torino e del Palazzo di Giustizia a Milano, nel 1937. Suoi furono pure i progetti per il Museo Nazionale della Magna Grecia a Reggio Calabria, nel 1935, e quelli per Via della Conciliazione, ancora nella capitale.
Guidò, poi, l’organizzazione dell’Esposizione Internazionale di Roma, nel 1942, con l’obbiettivo di mostrare un’Italia rinnovata dal fascismo e pronta a relazionarsi con le altre avanguardie europee. C’era da celebrare il ventennale della marcia su Roma e l’area prescelta per l’esposizione fu organizzata dal Piacentini con cardo e decumani, un trionfo di marmi bianchi, Piazza Imperiale, oggi Piazza Marconi, e poi il famoso “Colosseo Quadrato”, ideato dagli architetti Guerrini, La Padula e Romano, e la Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, originariamente pensata come mausoleo di Mussolini. Il tutto rimandava ad un passato mitico Il suo fu senza indugio un chiaro attivismo ideologico che, se guidò la sua ascesa nel Ventennio, lo condannò invece al dimenticatoio alla caduta del regime.
Cacciato dalla Cattedra di Architettura dell’Università La Sapienza dalla Commissione per l’epurazione, fu riammesso, lasciando poi la cattedra per raggiunti limiti di età. Riuscì a mettersi in luce solo quando i Giochi Olimpici del 1960 fecero ricordare il suo nome a chi volle un progetto impregnato di romanità. Realizzò allora la grande arena circolare del Palazzo dello Sport dell’Eur. Morì quello stesso anno.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia: A. Lucivero (a cura di), Marcello Piacentini