L’olio d’oliva, oro del Mediterraneo

Scriveva Fernand Braudel che “là dove finisce l’olivo finisce anche il Mediterraneo”, in effetti l’olio d’oliva, che spicca sulle nostre tavole, è un simbolo del Mediterraneo dall’Antica Roma fino a oggi.

Un albero sacro, un simbolo di amicizia e solidarietà, un elemento di identità che accomuna tutti i popoli del Mediterraneo ed ogni suo paesaggio. Il nostro pensiero va al ramoscello d’ulivo portato da una colomba all’arca di Noè. L’ulivo è al centro del rito dell’unzione celebrato nel giudaismo quanto nel cristianesimo ed anche nel Corano è detto che la luce di Allah è come una fiaccola che viene accesa con “l’olio dell’albero benedetto”; l’ulivo è evocato dalla Bibbia come il primo albero, l’oleum primum arborum, e figura nei riti cristiani e nelle feste popolari.

L’ulivo è una pianta sempreverde caratteristica dell’ambiente mediterraneo perchè non sopporta nè il freddo eccessivo nell’umidità persistente. Ha sempre caratterizzato dunque la penisola iberica e quella italiana, oltre che l’Africa del Nord. La sua grande diffusione quindi coinvolge tutte le culture nella pace e nella cooperazione.

Il carattere ancestrale dell’olivicoltura nel Sud Italia si condensa tutto in una denominazione Dop, l’olio extravergine di oliva Bruzio Dop che richiama subito alla mente la popolazione dei bruzi. Attraverso un progressivo miglioramento delle tecniche di coltivazione la coltivazione delle olive si estese coi greci, fiorì in età romana, crebbe con l’impegno dei monaci dell’ordine Basiliano.

Antichi frantoi dislocati in Puglia, Calabria e Campania raccontano questa lunga storia. Il loro fascino è enorme. Essi sono spesso adibiti a musei della paleoindustria dell’olio, oppure sono integrati in strutture alberghiere, certi sono ancora attivi. Tutto ciò permette di valorizzare l’olio locale odierno, ricreare un legame tra visitatori e produttori, esaltare i prodotti del territorio.

L’olio della Liburia, paricolarmente rinomato quello di Venafro, ma anche quello del Sannio ebbe, nel periodo tardorepubblicano, un ruolo trainante dell’economia romana, centro di scambi in tutto il Mare Nostrum. Da una importante iscrizione conosciuta come “Tariffario di Palmira”, sappiamo che venivano impiegati cammelli per il trasporto degli otri contenenti olio della Siria mentre M. Terenzio Varrone, nel “De re rustica” (II, 6, 5) racconta che l’olio pugliese raggiungeva il mare in otri trasportati da carovane di muli. M. Porcio Catone nel “Liber de Agricultura” (VI-VII), per esempio, elencava alcune varietà di olive conosciute al suo tempo e tra esse indicava la “sallentina”, e Plinio il Vecchio nella “Naturalis Historia” (XV, 13) affermava che dalla Calabria arrivava “un eccellente olio d’oliva a prezzi ragionevoli, il migliore nel Mediterraneo”.

Addirittura si stima che l’uso dell’olio nel mondo antico era così diffuso che il consumo per persona presso greci e romani era pari a venticinque litri l’anno, studiosi rivelano che le famiglie ricche ateniesi potevano arrivare a consumarne pure trecento litri.

Ma l’olio fu pure strumento di illuminazione, tra i più costosi perchè non lasciava residui fumosi, ed elemento centrale nella preparazione dei colori per la pittura paretale. Pochi sanno poi che l’olio era usato quotidianamente quale detergente, per il corpo prima e dopo i bagni, e come unguento con profumi in una moda che nacque in Egitto ed attraverso la Grecia giunse nell’Italia romana. Ricche descrizioni letterarie ci informano anche del confezionamento di cosmetici con l’olio e della preparazione di medicamenti in cui l’olio si univa ad erbe nell’ottenimento di infusi importantissimi della farmocopea antica.

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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