Lo sbarco dei Mille e il ruolo di Rubattino
In questi giorni (e precisamente il 4 maggio 2020) è incorso il 160esimo anniversario della partenza da Quarto dei Mille (che in realtà erano 1.084) a bordo di due piroscafi, di proprietà della Compagnia Rubattino, il Piemonte e il Lombardo. E proprio in questi giorni i Musei Garibaldini di Caprera hanno pubblicato un’edizione elettronica del libro di Giuseppe Bandi intitolato “I Mille: da Genova a Marsala”. Questo testo affronta la prima parte dell’impresa garibaldina.
I due piroscafi (definiti “vecchi stravecchi” dal Bandi) “[…] s’andavano rassettando nel cantiere, così alla meglio”. Prosegue Bandi (pag.36 del citato volume): “[…] quali patti facesse il Generale [Garibaldi] con la Compagnia [Rubattino] non lo seppi, né mi curai di saperlo allora […]; ma son fermo nel credere che i padroni dei due meschini legni non avrebbero perduto un soldo del loro avere, quand’anche la tempesta o le palle dei cannoni borbonici li avessero spinti su qualche secca o sprofondati negli abissi”.
Ma come andarono veramente le cose? Che cosa avvenne in quei giorni concitati? Nino Bixio, dopo l’approvazione di Garibaldi sui particolari della “consegna” dei due piroscafi che avrebbero dovuto essere predisposta da Fauché, un patriota veneto che esercitava le funzioni di procuratore della citata Compagnia, il 30 aprile 1860 invitò quest’ultimo “a non attendere altre discussioni e si preparasse “quella mattina” a disporre “quanto da lui dipendeva”. Il Fauché era un semplice esecutore di ordini, e Raffaele Rubattino era l’unico dirigente, di nome e di fatto, della Compagnia che portava il suo nome. Ma sono i particolari a destare interesse e a gettare luce su tutta questa vicenda, che avrebbe cambiato per sempre il destino degli Italiani. Rubattino non doveva apparire “consenziente”, sia di fronte agli azionisti della Compagnia sia di fronte al Governo sardo (i suoi rapporti con Cavour erano comunque eccellenti). Ma soprattutto, di fronte alla pubblica opinione estera, non doveva risultare questo atto “rivoluzionario” in alcun modo tollerato dal citato Governo sardo. L’intendente di Genova, il comandante della Regia marina e del porto, che erano stati informati riservatamente, vivevano giornate di ansia e di preoccupazione, man mano che si avvicinava l’ora della partenza dei Mille.
Si trattava di assumere responsabilità assai gravi, e si rischiava di compromettere la reputazione del Governo sardo. Le autorità portuali si palleggiarono abilmente tali incombenze, in attesa che i volontari si radunassero per la partenza in Piazza Carlo Felice e in Piazza Posta alle 6 e mezza della mattina del 4 maggio (Carte Garibaldi, Archivio dell’Istituto mazziniano, n.231). Il capo della ronda del fuoco, che doveva visitare i bastimenti al principiar della notte, onde evitare che venissero accesi pericolosi fuochi nei pressi dei bastimenti, fu arrestato dagli stessi garibaldini.
L’accordo fu “mirabile”, un capolavoro di maestria e di diplomazia. Garibaldi, prima di salpare, sottoscrisse una lettera ai direttori della Compagnia Rubattino, nella quale, dopo aver dichiarato di essersi impossessato dei piroscafi con la forza (dichiarazione indispensabile per tutelare il Governo sardo e soprattutto Cavour), s’impegnava ad indennizzare la Compagnia medesima “[…] con quanto esisteva in denaro e materiale appartenente alla sottoscrizione per il milione di fucili”. E sempre in ottemperanza agli accordi presi, la Compagnia Rubattino, allo scopo di confermare le dichiarazioni di Garibaldi ed evitare che Cavour si trovasse a mal parata con le potenze estere, elevò una formale protesta presso le autorità marittime adducendo la mancata sorveglianza del porto.
Il Corriere Mercantile, organo di stampa genovese molto vicino a Rubattino, non fece alcun cenno della spedizione fino al 10 maggio, giorno in cui annunciò “l’arditissima spedizione di Garibaldi” finalizzata a soccorrere i Siciliani “da un mese protestanti coll’armi contro la borbonica dominazione”. Ma qualcosa andò storto, e rischiò di rompere le uova nel paniere. Fu proprio l’ambizioso Fauché a denunciare in una lettera inviata al giornale La Perseveranza di non aver inviato alcuna protesta alle Autorità ministeriali e locali, di fatto così accusando implicitamente il Governo sardo di connivenza con gli organizzatori della spedizione.
Ma cosa spinse Fauché a comportarsi così? Due giorni prima di essere (giustamente) licenziato da Rubattino, che lo costrinse a rilasciare la procura, egli ebbe addirittura la faccia tosta di scrivere a Garibaldi una lettera. Approfittando delle condizioni di difficoltà, soprattutto finanziare, della Compagnia Rubattino, cercò di affondarla definitivamente proponendo all’Eroe dei due Mondi la creazione di una nuova compagnia di navigazione a vapore, che avrebbe impiegato gli stessi piroscafi che stavano trasbordando i Mille! Senza aver investito una lira, Fauché chiese a Garibaldi che gli venisse affidata la direzione degli affari di marina nel regno che al Sud egli avrebbe conquistato. Il bello è che la richiesta venne pure accolta, sia per la carenza di uomini adeguati alla missione tra i garibaldini sia, soprattutto, per evitare che il Fauché commettesse qualche altro colpo di testa nocivo alla causa rivoluzionaria.
Abbandonato il progetto della nuova compagnia, Fauché fu nominato il 1° luglio 1860 Commissario generale della Marina, carica che rivestì fino al 17 settembre successivo, giorno in cui fu nominato Segretario di Stato della Marina. Un mese dopo divenne Capitano di vascello di prima classe. Promoveatur ut amoveatur. La sua attività effettiva è rimasta ignota, e alla fine fu collocato in aspettativa. Fino all’ultimo, in una sua auto agiografia pubblicata postuma, tentò di infangare la Compagnia Rubattino, sostenendo che Garibaldi l’avesse indennizzata del danno sofferto per la perdita dei due vapori per un importo esorbitante (un milione e duecentomila lire dell’epoca) rispetto al valore effettivo dei piroscafi, cui doveva peraltro aggiungersi anche la somma per ripagare il sequestro del Cagliari che era stato utilizzato dalla sfortunata spedizione di Pisacane.
Una commissione d’inchiesta presieduta da Agostino Bertani ebbe modo di consegnare a mani di Garibaldi una dettagliata relazione il 7 agosto 1860, che escludeva favoritismi di sorta e sconfessò le illazioni e i sospetti su presunte speculazioni di Rubattino. Garibaldi stesso elevò la cifra del risarcimento da 640mila lire a 750mia lire per aiutare l’amico Rubattino, che pur attraversando un momento particolarmente critico aveva aiutato l’Eroe dei due Mondi in un’impresa che avrebbe cambiato per sempre la storia nazionale.
Nino Bixio, genovese come Rubattino, continuò dagli scranni di deputato a sostenere in parlamento le iniziative di Raffaele Rubattino e della sua compagnia di navigazione, e in particolare i suoi sforzi per valorizzare la prima delle colonie africane, quella remota stazione di Assab che Rubattino acquisterà nel 1869 (l’anno dell’apertura del Canale di Suez). Alla morte di Bixio, la colonia di Assab verrà presto abbandonata a sé stessa. Deceduto anche Rubattino, la colonia verrà rilevata dal Governo italiano nel 1882, avviando quella nuova fase di colonialismo politico che da lì a poco avrebbe portato all’occupazione di Massaua (1885).
Autore articolo: Alessandro Pellegatta
Bibliografia: A. Codignola, “Rubattino”; G. Doria, Debiti e navi. La compagnia di R., 1839-1881; P. Piccione (a cura di), Un armatore genovese e l’Unità d’Italia
Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell’esplorazione. Tra le sue ultime pubblicazioni storiche ricordiamo Manfredo Camperio. Storia di un visionario in Africa (Besa editrice, 2019), Il Mar Rosso e Massaua (Historica, 2019) e Patria, colonie e affari (Luglio editore, 2020). Di recente ha pubblicato un volume dedicato alla storia dell’esplorazione italiana intitolato Esploratori lombardi.
Molto interessante consente di colmare i vuoti didattici dei racconti storici