Lettere di Pitagora a Gerone e Anassimene

L’autore di “Storia crotoniata”, Felice Caivano Schipani, rinvenne due lettere di Pitagora che riportiamo di seguito. La prima scritta a Gerone, tiranno di Siracura, la seconda al filosofo Anassimene. Sulla loro autenticità ci sono numerosi sospetti, tuttavia contengono aspetti salienti dell’insegnamento pitagorico.

 

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Epistola a Gerone

La mia vita è fuor di pericolo, è quieta: la tua in niun conto si avvicina, e conviene alla mia. Un uomo moderato, e povero non à bisogno delle mense Siciliane. Pitagora in qualunque luogo si porta ha tutto ciò, che gli è di bisogno a dì a dì, e quanto basta. Darsi in servitù ad un Signore di un luogo, e conviver con lui è duro, è rincrescevole a colui, che a tali cose non è avverso. E considerevole, e fuor di pericolo, aver quanto basta ad una vita frugale. E veramente chi è contento del poco non ha nè emuli, nè invidiosi, nè paventa alle insidie, che altri potrebbe tendergli. Con questa fama sembra viver veramente a Dio. Una buona disposizione, ed un buon abito non si ha dall’uso della Venere, nè dai cibi, ma dall’indigenza, che mena l’uomo alla virtù. I piaceri varii e che portono l’impronta dell’intemperanza decadono alla servitù gli egri animi degli uomini, e molto più quella, di che tu godi. Laonde ancor tu quando ti lasci in mano di quelli; perciocchè dipendi da quella, non potrai sottrarti dalla servitù di loro. Non voler dunque chiamar Pitagora a convivere appo te; poichè neppure i medici amano dormire con gl’infermi.

Epistola ad Anassimene

Tu ancora, o ottimo uomo, se nella schiatta, e nella gloria non fossi più che Pitagora, lasciando Mileto, muoveresti altrove. Or ti rattiene la patria gloria, la quale avrebbe ancor me rattenuto, se io fossi non dissimile d’ Anassimene … Non sempre conviene la via del cielo, ma bello è ancora pensare intorno la patria. Io non sempre intendo ai miei studii, intendo le volte anche ai bellicosi affari, cui gl’Itali dissidono tra loro.

 

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