Le relazioni diplomatiche tra Italia e Arabia Saudita negli anni Trenta

Per diversi anni la politica araba del Regno d’Italia fu imperniata su un rapporto privilegiato con lo Yemen dell’imam Yahya. Col Patto di Londra si era riusciti ad ottenere il riconoscimento britannico della presenza e degli interessi italiani in Arabia e nel Mar Rosso. L’irruzione sulla scena di Ibn Saud, proclamatosi re dell’Higiaz, del Neged e delle sue Dipendenze cambiò non poco le cose. Pure l’Asir si pose sotto il suo protettorato, suscitando il risentimento yemenita, e l’Italia, dopo aver tentato di stabilire rapporti coi sauditi senza riconoscer loro il territorio conteso da Yahya, accondiscese ad un trattato di amicizia ed al conseguente avvio di relazioni diplomatiche. Il governatore dell’Eritrea, Riccardo Astuto, continuò a mostrare le sue perplessità sul mutamento della politica italiana in Arabia, ma le sue riserve furono messe a tacere anche alla luce dei fatti del dicembre del 1931, quando Ibn Saud riconobbe allo Yemen alcuni territori dell’Asir da questo occupati ai primi di settembre. La spartizione dell’Asir tra i due contendenti, rasserenò il console italiano a Gedda, Guido Sollazzo e spianò la strada al riconoscimento dei sauditi. Il 10 febbraio del 1932, nel palazzo reale di Gedda, furono firmati il Trattato di amicizia ed il Trattato di commercio preceduto dal riconoscimento ufficiale italiano di Ibn Saud quale re dell’Higiaz, del Neged e delle Sue Dipendenze. Ai trattati, sottoscritti dal console italiano Sollazzo e dall’emiro Faisal, Ministro degli esteri saudita, seguì uno scambio delle ratifiche a Roma, il 22 aprile 1932, a Palazzo Chigi, dove Faisal si portò dopo aver viaggiato a bordo del piroscafo Crispi, partito da Massaua e giunto a Napoli il 18 aprile.

Questa nuova amicizia fu messa alla prova da subito. Il 20 maggio del 1932, infatti, Ibn Rifada, alla testa di un gruppo di insorti, penetrò dall’Egitto in Higiaz con l’intento di innescare una rivolta generale contro Ibn Saud. Roma dovette darsi da fare per zittire le voci di un sostegno eritreo ai ribelli proprio mentre il Ministero degli esteri veniva assunto da Mussolini e Fulvio Suvich diveniva nuovo sottosegretario. In realtà il governatore Astuto era in contatto con al-Dabbagh, sostenitore di Ibn Rifada, e nutriva sincere aspettative nell’insurrezione. Astuto, sebbene ammonito da Suvich, continuava a tempestare il Ministero di sollecitazioni a ragionare diversamente sulla vicenda in atto. Ibn Rifada aveva già subito un primo scacco, eppure Astuto continuava a credere in una imminente e vittoriosa sommossa in Asir e nelle regioni settentrionali dell’Higiaz, Roma invece tenne sempre ferme le precise istruzioni che ribadivano la politica di amicizia nei confronti dei sauditi e la prospettiva della penetrazione economia e commerciale in Arabia. La rivolta in Asir si verificò ad ottobre, quando a Gedda era giunto il nostro nuovo rappresentante, il ministro plenipotenziario Ottavio De Peppo.

Astuto, appoggiato dal ministro delle Colonie Emilio De Bono, chiese l’invio della nave militare Arimondi nelle acque di Gizan, per seguire da vicino quegli avvenimenti, De Peppo si tenne invece cauto e fermo nell’evitare relazioni pericolose coi ribelli. Inopportunamente il governatore dell’Eritrea, in assoluta autonomia, affidò alla R.N. Azio del capitano di corvetta Carlo Millo, una crociera di presidio dell’Asir e delle Isole Farasan e su quella nave fece imbarcare anche un corriere incaricato di stabilire rapporti coi ribelli.

Nel primo pomeriggio del 19 dicembre 1932, la Azio gettò l’ancora a Midi, nello Yemen. Milo stabilì i primi contatti con le autorità locali che però confermarono l’ufficiale neutralità dello Yemen nella rivolta. Solo nella notte alcuni misteriosi personaggi si avvicinarono alla nave chiedendo di essere ricevuti. Erano loro i ribelli. Furono stabiliti accordi chiari per far operare il corriere di Astuto e così avvenne. Dopo essersi fermato a Gizan, dal governatore Khalid Abu al-Walid che altri non era che il profugo tripolino Khalid al-Qarqani, la sera del 21 dicembre la R.N. Azio raggiunse il punto convenuto coi ribelli per lo sbarco del corriere e di un interprete. Il giorno dopo Milo si diresse verso le Farasan prima di ritornare a recuperare il corriere e con lui i delegati ufficiali dei ribelli che domandavano di incontrare al più presto il governatore Astuto per ottenere 3000 fucili. Appena giunto a Massaua, però, Milo trovò una sorpresa: già dal 21 dicembre, il principe Faisal aveva inviato a Gedda una durissima nota di protesta contro l’arrivo di una nave da guerra italiana nel porto del Gizan. Astuto, scoperto nei suoi intrighi, visse giornate di grande imbarazzo per aver travalicato le direttive ministeriali. Il delegato dei ribelli fu riportato sulla sponda opposta del Mar Rosso ed il governatore d’Eritrea fu sonoramente redarguito da Mussolini. De Peppo faticò non poco a ricondurre i rapporti italo-sauditi in una cornice di amicizia. Intanto i ribelli dell’Asir venivano sconfitti.

Il grande lavoro di Ottavio De Peppo si incentrò soprattutto sul creare le premesse per una penetrazione economica nel paese saudita. Il plenipotenziario italiano aveva perfettamente capito che, risolte le questioni militari, Ibn Saud si sarebbe impegnato in un ampio programma di modernizzazione delle strutture economiche del Paese ricercando nuovi partner commerciali. “Non vi è possibilità di penetrazione in questo Paese – scrisse De Peppo – se non si adotta un altro ordine di idee: occorre pensare ad aiutarlo, prima ancora che a sfruttarlo”. Questo fu sempre il suo orientamento, tuttavia non poté che annotare pure come “l’astro wahhabita declina e, purtroppo, tende ad entrare, per necessità non per spontanea elezione nel sistema planetario inglese”. Il plenipotenziario ottenne da Harry St. John Bridger Philby, influente amico europeo di Ibn Saud, un interesse per le produzioni della Fiat che avrebbe potuto “fornire le macchine a sette posti e i grossi autocarri che la Ford non produce”, purtroppo però la fabbrica torinese non aveva ancora una sua rappresentanza a Gedda. E così giorno dopo giorno gli inglesi allungavano le loro mani sull’Arabia. Infine, Ibn Saud concesse alla Standard Oil Company della California una larga concessione petrolifera.

Venne l’aprile del 1934. Fino ad allora il rapporto con i sauditi non era mai decollato. Le cose peggiorarono quando ritornò a presentarsi la guerra. Stavolta Ibn Saud volse le sue armi contro il vecchio alleato italiano, lo Yemen. Come sempre la ragione della contesa tra i due paesi era il possesso dell’Asir. Al primo sentore di una mobilitazione militare yemenita, i sauditi erano passati direttamente al contrattacco. L’imam Yahya si ritrovò solo, gli italiani si limitarono a pattugliare le coste con una condotta di vera neutralità e, a maggio, Ibn Saud poteva annunciarsi vincitore. Tornò allora a riaffacciarsi il desiderio saudita di trovare nuovi partner commerciali per godere di una maggiore autonomia da Londra. Un emissario di Ibn Saud, Faud Hamza, fu ricevuto da Mussolini a Palazzo Venezia. Dopo quell’incontro il governo iniziò a fare pressioni sull’Agip, brillante azienda del comparto delle ricerche petrolifere, ma, negato un cospicuo finanziamento statale, l’azienda non volle avviare attività nelle Isole Farasan. A fine 1935, dunque, i rapporti commerciali con l’Arabia restavano inesistenti. Sin dalla primavera di quell’anno però, alle dipendenze del Comando Superiore in Africa Orientale, affidato a De Bono, c’era il tenente colonnello Celso Odello del Servizio Informazioni Militari (SIM). Fu lui ad alimentare nuove speranze programmando una sorta di scambio: i sauditi avrebbero dato all’Italia dodicimila cammelli, gli italiani avrebbero loro dato mitragliatrici, cannoni, munizioni e autocarri militari. Il nostro rappresentante diplomatico a Gedda, Giovanni Persico, si mostrò molto fiducioso della riuscita dello scambio, tanto più necessario per l’accrescersi delle tensioni italo-etiopiche, purtroppo, per tutta una serie di complicazioni, l’operazione non andò in porto. Non si ottenne neppure un cammel, ma intanto campioni di materiale bellico italiano erano giù giunti a Gedda ed il governo italiano, nella prospettiva di rafforzare l’amicizia con Ibn Saud, decise comunque di regalargli tutto. Tanto sforzo fu ricambiato quando l’Arabia Saudita negò di applicare le sanzioni contro Roma disposte dalla Società delle Nazioni.

Con la conquista dell’Etiopia, la cornice politica delle relazioni tra Italia e Arabia Saudita cambiò. Pur restando amici, le relazioni divenire solo un aspetto della più generale politica araba del fascismo. L’invio di armi e aiuti al mondo islamico, in particolare a quello palestinese di cui Ibn Saud era un grande protettore, ebbero, nelle intenzioni di Mussolini e Ciano, un carattere meramente strumentale per colpire la Gran Bretagna. Tutto si stemperò a seguito dei negoziati italo-inglesi del 1937, gli Accordi di Pasqua, ma ciò finì col deludere i sauditi, preoccupati che le due potenze volessero in qualche modo mettere sotto un protettorato congiunto l’Arabia. Ibn Saud si confermò geloso custode della neutralità del proprio paese e allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale le relazioni italo-saudite finirono nelle sabbie mobili.

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Fonte foto: dalla rete

Bibliografia: M. Pizzigallo, La diplomazia dell’amicizia. Italia e Arabia Saudita 1932-1942

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