Le politiche antiebraiche italiane in Libia

All’avvento del fascismo, gli ebrei in Libia, erano una comunità eterogenea e ben integrata nel tessuto sociale locale. Non mancavano poveri agricoltori né mercanti e imprenditori, c’erano italiani, francesi, spagnoli, inglesi, maltesi. Non erano mai stati un problema, ma lo divennero.

Già nel 1937 Balbo rispose agli ebrei che si rifiutavano di aprire i loro negozi di sabato facendone fustigare dieci in pubblico. Si procedette ad allontanare i funzionari di governo e gli ufficiali ebri e ad escludere gli alunni ebrei dalle scuole. Nel febbraio del 1941 le autorità civili e militari abbandonarono Bengasi davanti alla rapida avanzata degli alleati. Gli italiani non assistettero all’entrata di britannici e australiani, lo fecero solo indigeni ed ebrei, festeggiando i nuovi arrivati finendo in foto sui giornali. L’occupazione non durò a lungo e, quando gli italiani ritornarono, quelli che avevano partecipato a manifestazioni di sostegno agli alleati furono identificati e messi alla gogna. Tredici erano musulmani, quindici erano ebrei. Anche se non furono processati e condannati, questi ebrei e l’insieme della comunità iniziarono ad essere guardati con odio.

Una nota delo stesso anno di Renato Trevisani, commissario generale dell’Arcoguerra, ben mostra questo cambiamento e tuttavia spiega come il freno a misure radicali antiebraiche fosse dettato da ragioni economiche: “La popolazione ebraica della Libia ammonta, grosso modo, a 50-60 mila unità, ed è composta di una minoranza numerica – che ha però naturalmente la maggiore influenza la quale dispone di notevoli capitali e di una massa a limitatissime possibilità economiche… La proprietà fondiaria in mano ebraica è limitatissima; più estesa la proprietà edile, ma la maggior parte del capitale degli ebrei è investito in attività commerciali, e in minor misura, industriali. Soprattutto importante è l’attività svolta quali rappresentanti di ditte commerciali italiane e straniere… E’ quindi chiaro come, avendo in mano tanta parte delle attività commerciali, gli ebrei siano gli elementi che più frequentemente si dedicano alla speculazione  e alle incette…. A parte le generali norme repressive contro la speculazione e l’incetta, applicate con rigore da tutti gli organi di polizia, i provvedimenti adottati dal Governo per reprimere l’attività degli ebrei sono stati di vario tipo… Tutti i provvedimenti adottati non possono essere però che soluzioni parziali del problema; risultati efficaci non si potrebbero conseguire che con disposizioni radicali – quali per esempio il rinchiudere gli ebrei in campi di concentramento – in quanto le esclusioni da particolari attività non farebbero che inasprire la situazione… Occorre tener presente che, come si è detto, la rete di distribuzione capillare è costituita quasi totalmente da ebrei e quindi la loro soppressione potrebbe portare un effettivo turbamento di mercato”.

Nel dicembre Bengasi tornò agli alleati, poi a gennaio italiani e Afrika Korps la ripresero e nel frattempo gli ebrei erano ufficialmente divenuti un problema da eliminare. Tre di essi, Abramo Bedusa e i fratelli Iona e Scialom Berrebbi, furono condannati a morte e fucilati; altri tre, Elia Barda, Scialom Frig e Isacco Zard, furon condannati a ventiquattro anni di reclusione. L’odio però era dilagato in tutti i centri libici.

A Tripoli si verificarono numerose aggressioni pubbliche che accompagnarono l’entrata in vigore di decreti governatoriali che imponevano limiti alle attività professionali degli ebrei e introducevano la possibilità per i maschi ebrei italiani e libici tra i diciotto e quarantacinque anni di essere precettati. Gli ebrei dovevano autodenunciarsi affinchè la loro condizione fosse annotata nei registri dello stato civile e fu questo il primo passo verso i lavori forzati.

Gli ebrei con passaporto francese furono spediti in Tunisia, quelli con passaporto inglese finirono internati in Italia, a Villa Oliveto, a Civitella in Val di Chiana, provincia d’Arezzo, a Civitella del Tronto, presso Teramo, al campo di Fossoli, in provincia di Modena. Da questi centri, nel 1944, furono spediti a Bergen-Belsen e Auschwitz

Nel febbraio del 1942  Mussolini dispose che tutti gli ebrei della Cirenaica fossero riuniti in un campo di concentramento della Tripolitania. Tre settimane dopo furono compiuti i primi rastrellamenti della comunità ebraica della Cirenaica sotto la guida del generale Bastico. Così sorse il campo di concentramento di Giado seguito da altri, a Sidi Azaz, presso Homs, a Tobruk… E nei campi gli ebrei erano sottoposti a lavori massacranti, con orari impossibili. Si lavorava dall’alba al tramonto, sotto il sole rovente, con scarso cibo e pessima igiene negli alloggiamenti. Le condizioni più insostenibili furono quelle di Giado dove persero la vita più di 560 persone e, all’apprestarsi degli inglesi, si dispose d’uccidere tutti gli ebrei, misura miracolosamente revocata. Gli inglesi, conquistando Tripoli, impedirono la deportazione di altri duemila ebrei. Trovarono nei campi gente malata, affamata, ridotta a stracci ed ossa. Le leggi antiebraiche furono abolite e gli ebrei furono liberati dai campi e ricondotti alle proprie abitazioni di Bengasi, Barce e Derna.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Fonte foto: dalla rete

Bibliografia: E. Salerno, «Uccideteli tutti». Libia 1943: gli ebrei nel campo di concentramento fascista di Giado. Una storia italiana

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