Le navi di Ulisse
Lo scenario principale dell’Odissea è il mare. Isole, scogliere, gorghi, insenature, Ulisse si muove in questo mondo con le sue navi. Se nell’Iliade la guerra terrestre fa emergere l’importante ruolo del carro da battaglia, nel canto di Odisseo, è proprio la nave ad essere il veicolo principale. Non mancano particolari tecnici nelle parole di Omero. Così, legno e cordame non sono arrivati sino a noi, ma grazie al poeta greco possiamo avere i dettagli essenziali delle navi antiche.
Imbarcazioni snelle, slanciate, veloci percorrono i mari greci. Sono vascelli dalle linee affusolate che, studiando le rappresentazione su pitture vascolari, oscillavano fra due tipi, uno più piccolo, con lunghezza 12 metri e larghezza di 3 al centro e 2 a prua e prora, uno più grande, con lunghezza di 27 metri e larghezza massima di 4,5 metri. L’aspetto aggressivo era dato dalla prua “a corno”, arrotondata cioè verso l’alto, spesso terminante in una polena, una figura di pesce, uccello o sirena d’ornamento (orthòkrairos). Omero descrive lo scafo di nero, il nero della pece che serviva a impregnare il legname della chiglia e a renderla impermeabile. Altri colori, come l’azzurro e il rosso, tinteggiavano la prua, forse sotto forma di striature o rombi. Talvolta perfino comparivano due enormi pupille che conferivano all’imbarcazione un potente effetto visivo, come se essa stessa fosse viva.
La nave di Ulisse è poi cava (kòilos), non ha ponte. Parliamo di un legno grosso e veloce, adatto alla pesca e a navigare in mari caldi, dove piove di rado, dove le notti sono clementi e i marinai possono dormire sotto le stelle senza patire il freddo, senza bisogno di rifugiarsi sotto le assi di un ponte.
La locomozione era affidata ai remi e, quando possibile, alla vela. Di forma quadra, essa era di lino ed era retta da un pennone legato alla sommità del albero, piantato in mezzo allo scafo. E quando c’è da passare all’assalto di un mercantile, e occorre la velocità massima, la ciurma provvede ad estrarre l’albero dal suo incavo e poi si curva sui remi.
Il capitano non aveva cabine. Così Ulisse non mise sotto chiave l’otre dei venti che gli regalò Eolo con grandi raccomandazioni di non lasciarlo ai marinai cosa che invece avvenne. I marinai avevano a bordo uno spazio ristretto, senza possibilità di stiparvi viveri o recipienti d’acqua. Il modello più piccolo di nave poteva contare venti rematori, quello più grande anche cinquanta.
Quanto all’altezza dello scafo e alla forma della chiglia, alcune descrizioni di manovre forniteci da Omero ci lasciano pensare. Non doveva essere alta sul pelo dell’acqua. Un uomo poteva, infatti, agevolmente saltare a terra dal bordo della chiglia. Lo scafo era piatto perché scivola indenne su acque basse e scogliose e poi, calata la notte, i marinai lo tiravano rapidamente in secca sulle spiagge in declivio, piuttosto che passare la notte in mare aperto. Imbarcazioni del genere hanno fondo piatto.
Un particolare fondamentale è dato tutte le volte in cui Omero descrive le navi in accostamento alla riva per fare rifornimento. Questo ci dice che i navigatori non si spingevano in mare aperto, perlomeno non di frequente. La loro era una rotta che seguiva le coste. La terra doveva essere sempre in vista. L’eccezione era rappresentata dai feaci, che leggevano la rotta nelle stelle, cosa che invece Ulisse non fa mai. La sua tecnica di navigazione non sfrutta carte nautiche celesti, non si basa sulle osservazioni stellari. In compenso, è un abilissimo artigiano, conoscitore pure del legno degli alberi, e si costruisce da solo, con una semplice ascia fornitagli da Calipso, l’imbarcazione con cui può tentare il ritorno ad Itaca.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Fonte foto: dalla rete
Bibliografia: Orazio Ferrara, I Signori del mare. Appunti per una storia delle antiche marinerie