L’Assedio di Rodi del 1480
Nel 1480, Misac Pascià, un cristiano rinnegato, guidò la flotta di Maometto II all’assedio di Rodi, isola nelle mani dei Cavalieri di San Giovanni.
Caduta Costantinopoli, l’intero Mediterraneo si sentì debole preda dei musulmani così, sin dal 1477, il Gran Maestro dell’Ordine aveva predisposto grandi lavori di fortificazione valendosi dell’opera dei più rinomati architetti.
Misac Pascià, iniziata l’impresa con centosessanta vascelli e ottantamila uomini trovò dunque Rodi già pronta a respingerlo con spesse e gigantesche muraglie merlate, con robustissime torri alle porte ed agli angoli, ampio fossato in giro, artiglierie su le mura.
All’alba del 23 maggio 1480 una enorme flotta fu avvistata al largo di Akra Molas, dopo pochi giorni una esercito di settantamila uomini cinse d’assedio la roccaforte. L’isola disponeva di appena cinquecento cavalieri e quattromila fanti e aiuti non ne sarebbero arrivati.
La volontà dei cavalieri era ferma ed ogni volta che le artiglierie nemiche riuscivano ad aprire una breccia, i cavalieri si rimettevano a lavoro improvvisando nuove difese e ristrutturando, quando possibile, le vecchie. Per due mesi, ogni volta che rovinava un baluardo, ne veniva eretto un altro con solerzia mentre al contempo si respingeva armi in pugno l’urto col nemico. La Torre di San Nicola, per esempio, distrutta dai bombardamenti, fu ricostruita col supporto dell’intera popolazione.
Per ottantanove giorni piovvero sulla città massi e frecce, cannoneggiava la stessa artiglieria che aveva abbattuto le mura di Costantinopoli. Tutti gli edifici di Rodi ne restarono segnati, ma ogni assalto turco fu respinto. Il Gran Maestro chiese aiuto al Papa, a vari sovrani europei e ai membri dell’Ordine ancora in Europa con una lettera, datata 21 Maggio 1480, divenuta celebre, in cui leggiamo: “Sentirà bene il perfido nemico ch’egli non ha a che fare con imbelli e poco pratici soldati, e ben s’accorgeranno questi cani, ch’egli non avranno a menar le mani contra delicati, effeminati e molli soldati asiatici. Non abbiamo qui valorosi e buoni (ancorché pochi) soldati; e siamo ordigni da guerra, di macchine, d’artiglieria, di frumento e di munizioni abbondantemente provveduti e forniti, per poter sostenere e resistere alle nemiche forze”.
Dopo i primi pesanti attacchi dal mare, la pressione turca si spostò sulla terraferma tirando d’artiglieria sul quartiere ebraico. Crollate molte difese, colmati i fossi in più luoghi, strette le trincee, ordinate le truppe, approntate tutte le artiglierie, Misac Pascià comandò l’assalto finale. Riuscì ad entrare nella fortezza coi suoi giannizzeri. I combattimenti si accesero in ogni via ma ogni resistenza stava cedendo.
Fu nel momento di più alta difficoltà che comparve un cavaliere crociato che riuscì a rincuorare, col suo esempio, gli altri cristiani e a riaccendere le speranze di vittoria. Era il Gran Maestro Pierre d’Aubusson che, con un nugolo di fidati, ordinò una sortita lanciandosi in un assalto in campo aperto. Investirono al fianco l’esercito musulmano con grave impatto e lo costrinsero a disperdersi con un mutamento delle sorti così rapido che tutti furono colti di sorpresa, anche i giannizzeri, padroni d’un intero tratto di mura, che si ritrovarono bloccata ogni via di fuga e finirono trucidati dal popolo di Rodi. Anche un francescano, Antonio Fradin, brandendo uno spadone a doppio taglio, inseguì i musulmani sino al mare. Mesic fu costretto a ripiegare e sgomberare l’isola, rinunciando all’impresa.
Fu una strage, probabilmente furono novemila i morti e quindicimila i feriti, e per tre giorni si videro le coste dell’isola ricoperte di cadaveri di turchi, delle cui ricche vesti molti popolani rodesi s’impossessarono. Scampato il pericolo si deliberò la costruzione di una chiesa dedicata alla Santa Maria della Vittoria.
Pierre d’Aubusson fu ferito tre volte, ma continuò a battersi, poi un gianizzero gli trapassò la corazza con un colpo di lancia perforandogli un polmone, ma sopravvisse alle ferite. Fallito l’assedio, Maometto II decise, dopo alcune manovre diversive, di attaccare il Regno di Napoli assediando Otranto.
Autore articolo: Angelo D’Ambra