L’Ars nova
Il brano che segue, tratto da Massimo Mila, Breve storia della Musica, si sofferma sull’Ars nova fiorentina, l’intreccio tra musica e poesia che nel Trecento trovò espressione nella scuola poetica del Dolce stil novo.
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Sotto l’azione di un potente rinnovamento spirituale, la musica si va orientando verso un ideale espressivo: il compositore si fa sempre più attento ai consigli della propria sensibilità l’orecchio vuole la sua parte, e le regole mirano a realizzare un edificio di piacevole effetto sonoro, non un’architettura puramente cerebrale. Il ritmo si fa sempre più libero, sempre più musicale, sciogliendosi dalla servitù alla parola parlata e ai modi derivanti dalla metrica latina.
Questa rivoluzione del gusto, che diede luogo alle solite polemiche fra sostenitori del vecchio e del nuovo stile, è contrassegnata nelle storie della musica dalla denominazione, appunto, di Ars nova.
In che rapporti stesse con l’arte dei suoni la mirabile fioritura poetica che culmina in Dante, non sappiamo. Qualche studioso ha supposto che tanto nelle poesie della Scuola siciliana, quanto in quelle dei primi toscani – Guittone d’Arezzo, Folcacchiero de’ Folcacchieri, Jacopo Mostacci, ecc. -, come nell’opera del “Dolce stil novo” e nella stessa lirica di Dande “parole e suono strettamente si collegassero”. Certamente, la testimonianza di Dante stesso è indubbia, quand’egli ricorda del cantore e musico Casella l’amoroso canto, “che mi solea quetar tutte mie voglie” e quando finge che costui, sulla soglia del Purgatorio, intoni con indimenticabile dolcezza una delle sue canzoni: “Amor che ne la mente mi ragiona”.
Gli cambi economici, e quindi anche culturali, con la Francia erano assai intensi, specialmente per i fiorentini. Il ritorno della sede papale da Avignone, nel 1377, dovette certamente condurre in Italia una schiera di musici e cantori francesi. Perciò le innovazioni dell’Ars nova francese vengono subito conosciute e praticate in Italia, dove, del resto, la disposizione degli spiriti, già tanto lontana dalle cosiddette tenebre del Medioevo, non avrebbe consentito un’espressione musicale che si riconducesse all’Ars antiqua. Fin dal principio l’italiano rivela il suo dono particolare della sensualità melodica e vocale, il gusto innato per il bel canto.
La compilazione polifonica delle voci è istintivamente evitata: c’è un’invincibile tendenza al predominio di una voce che conduce la melodia principale, mentre le altre tendono a subordinarsi a questa.
Nella sensuale melodia l’espressione è sempre presente: un mondo di sentimenti e, più ancora, di sensazioni urge nella fantasia dei poeti e dei musicisti, e rivela una civiltà singolarmente avanzata.