L’albero della libertà a Bologna

Con queste parole il gonfaloniere Carlo de Bianchi annunciava nell’ottobre del 1796 l’erezione a Bologna di un Alberto della Libertà:

“E’ sorto tra noi l’Albero della Liberta, e sarà esso segnale, se non di una libertà stabilmente ottenuta, di una libertà almeno ardentemente desiderata, e che i più fausti preludi ci annunziano già vicina. Riguardatelo, o Cittadini, quest’Albero con entusiasmo, ma nel tempo stesso con rispetto. Egli è il segno di quel Nobile Augusto sentimento, che ci diè natura, che il Dispotismo già da gran tempo aveva sopito nei nostri cuori, che dopo la carriera di cinque secoli l’invitta Nazion Francese ha ricondotto a Noi…”.

Racconta il Giudicini, ne “I riformatori dello stato di libertà della città di Bologna”, che, entrati i francesi in città, la sera del 18 ottobre alcuni giacobini bolognesi, tra i quali Giuseppe Gioannetti, i fratelli Ceschi e Giacomo Greppi, piantano in mezzo a Piazza Maggiore il cosiddetto Albero della Libertà, coronato di frasche, con in cima una berretta rossa, e tutto fasciato di tela tricolore, bianca, rossa e turchina.

Scrive il Giudicini: “Li 18, poco prima dell’ Ave Maria di sera, da diversi democratici fu piantato nel mezzo della piazza I’ albero della libertà, coronato di frasche, con sopra una berretta rossa e tutto il tronco fasciato di tela tricolorata. Appese alla metà del detto tronco, si vedevano due bandiere, sotto le quali due fasci consolari ed altri emblemi repubblicani. Fu portato e accompagnato da musica militare e da tamburi, poi con evviva fu innalzato. Il detto albero era stato fabbricato in casa Aldrovandi in via Galliera. I capi erano: il dottor Giacomo Greppi, Giovanetti Giuseppe, Luigi Ceschi. il fratello Ceschi seniore, ecc.”.

Fabbricato nel Palazzo Aldrovandi, questo albero fu innalzato al suono del tamburo, tra evviva e canti. Il Gioannetti intonò l’inno “Ecco il segnal benefico / della più dolce dea …” e fu seguito dagli astanti. Brevemente attorno all’albero della libertà si riunirono popolo e giacobini con grandi festeggiamenti che si trasformarono in sommossa quando il cancelliere della piazza pretese di sciogliere la dimostrazione schiaffeggiando un popolano. Il popolo in tumulto diede fuoco alla caserma e durante la notte si registrarono saccheggi e spoliazioni di conventi e botteghe: “Poco dopo l’innalzamento dell’albero della libertà si unì ai patriotti suddetti molta canaglia a fare degli evviva e molto schiamazzo. Il cancelliere della piazza volle, senza riflettere alle conseguenze, avanzarsi verso la radunanza per procurare di quietarli, e secondo il costume dei birri, diede uno schiaffo ad un plebeo, che irritò tutta la turba democratica e qualche soldato Francese. Tutta la moltitudine si avventò contro la guardiola dei birri, chiudendola per di fuori ed appiccando il fuoco alle porte della medesima. I birri furon lesti a fuggire per la porta sotto il voltone del popolo. Il barigello che era nella sua residenza colla propria moglie si avvilì e domandò grazia, che gli fu accordata da vari democratici, i quali l’accompagnarono alla sua abitazione. Restò la guardiola in potere della plebe, la quale abbruciò e devastò quanto vi era. Fu fortuna che qualcuno s’ accorgesse che nel camerino del barigello vi fosse della polvere da fuoco, e opportunamente fu sottratta, altrimenti poteva andare in aria tutto il fianco del palazzo del Podestà. Li 19 di notte la canaglia si portò a molte case, botteghe e conventi esigendo pane, vino ed altro…”.

Per mantenere la quiete pubblica i massari delle arti, il giorno dopo, furono incaricati di formare un Corpo di guardia civica di seicento uomini, poi distribuiti nei quattro quartieri cittadini: “La mattina stessa la giunta criminale si recò al generale in capo a farlo consapevole dell’accaduto, e ciò molto gli dispiacque, tanto più che l’innalzamento dell’albero della libertà era stato fatto senza il permesso del governo e senza sua licenza. Udendo il generale che era stato arrestato uno dei capi saccheggiatori, il quale aveva avuto la temerità di portarsi alle pubbliche carceri per mettere in libertà i carcerati, dove fu arrestato, ordinò che fosse subito fucilato; condanna che fu commutata nella galera ad istanza di molte persone. Affine poi di prevenire ulteriori disordini si pubblicò una lettera del generale al senato, un ordine di rispettare l’albero della libertà e un editto che provvedeva alla pubblica tranquillità. Per mantenere la quiete nella città per la susseguente notte, fu ordinato a tutti i massari delle arti di mandare 20 uomini per ciascheduno onde formare una guardia. I chiamati si radunarono nelle pubbliche scuole, ai quali si unirono diversi cittadini e cavalieri, che in tutto formarono un corpo di 600 persone, e furono distribuiti per i quattro quartieri pattugliando tutta la notte e mantenendo quieta la città. Vari cittadini e cavalieri fecero la ‘guardia alla porta del palazzo, oltre la solita della milizia urbana”.

Molti degli autori dei saccheggi della notte precedente vennero catturati e incarcerati. Uno di essi fu condannato a morte da Napoleone, la sentenza fu però “commutata nella galera”.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

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