L’abdicazione di Carlo Alberto
Nel passo che segue Felice Venosta in “La battaglia di Novara” (Milano, 1864) racconta dello stato d’animo di Carlo Alberto nel vedere la sconfitta del suo esercito a Novara e i sentimenti che lo portarono all’abdicazione in favore di suo figlio Vittorio Emanuele II di Savoia.
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Presente a tutti gli attacchi della Bicocca, presente allo sfacelo dell’esercito suo, non poteva farsi più nessuna illusione sulle conseguenze di quella campale giornata. Onde, sopraffatto dal dolore, fissando col pensiero lo stato suo, correva sugli spaldi della porta di Genova, ove cadevano a furia i proietti nemici. L’anima sua pareva non sentisse le cose di fuori; la era interamente assorta in un voto; e in esso tendevasi, e brancolando il cercava come una tregua a’ durati tormenti. Ma a Dio non piacque esaudire alla sua preghiera di morte. Molti che amavano la libertà e la indipendenza della patria erano stati un giorno da lui abbandonati senza apparente rammarico. Molti altri, quasi rei di delitti, sbanditi a viva forza dal paese nativo. Ed altri, fatti languire in dure prigioni. Ed altri ancora, spietatamente uccidere per mano del carnefice. E per lunghi anni, squilibrando il pensiero e l’azione, aveva sobbarcato sè stesso e costretto i suoi popoli a piegare alla influenza di una sêtta nefasta, all’arbitrio di perfidi governanti che loro amareggiavano le fonti della vita civile. Ora egli scontava nelle sue le atroci pene patite dalle migliaia per lui, e provava l’angoscia che dentro rode le carni e fuori non geme. La divina giustizia lo faceva raumiliato ed infelicissimo per indi redimerlo degno di sè e dell’Italia, che per due anni aveva occupato di amore operoso la mente sua ed il suo braccio.
Ei fu giuocoforza adoperare la più grande insistenza per ritrarlo da quel loco ferale e condurlo in città. A quei che primi ne lo sollecitarono, rispondeva: «Signori, lasciatemi morire. È questo il mio ultimo giorno!» Appena in Novara, chiese al Maresciallo un armistizio; cui quegli rispose accordarlo a patto di occupare il territorio posto tra il Ticino e la Sesia insieme colla cittadella di Alessandria; aggiunse che, non fidando nella parola del re, voleva in istatico il Duca di Savoia. Riunito un consiglio di guerra e chiarito non potersi ulteriormente resistere all’oste invaditrice, non volendo egli accettare condizioni dalle quali l’onor suo ripugnava, disse voler rendere l’ultimo servigio al paese, abdicando. Ed a quelli, che insistevano, a ciò revocasse la sua decisione, disse queste memorabili parole che la storia seppe conservare:
« Signori; io mi sono sacrificato alla causa dell’indipendenza italiana; per essa ho esposto la mia vita, quella dei miei figli, la corona; non potei conseguirla. Io comprendo che la mia persona potrebbe oggi essere d’impaccio alla conclusione di una pace divenuta ormai indispensabile; io non potrei firmarla. Poichè non ho potuto trovare la morte sul campo di battaglia, consumerò l’ultimo sacrificio a vantaggio del mio paese; io depongo la corona, ed abdico a favore di mio figlio il Duca di Savoia.» E, abbracciando affettuosamente tutti quelli che il circondavano, si chiuse in una stanza, e scrisse l’atto di abdicazione. Quindi sprofondato dalla battaglia che dentro lo combatteva, levò gli occhi in alto col viso di chi sentesi venir meno. Allora si avvide sedere sopra un oggetto che aveva nella tasca della divisa. Gli era un pacco suggellato, venutogli da Torino e pôrtogli nell’atto ch’ei muoveva all’assalto della Bicocca. Lo aprì e fuori ne trasse un braccialetto di ricco lavoro, opera di un riputato orafo di Parigi. Egli strinse convulsivamente il monile, vi poggiò la fronte e lunga pezza vi stette su come in letargo. Finalmente si riscosse, lo appressò alle labbra febbrili, e scritto un foglio, entro ne lo serrò. L’indirizzo era a sua moglie. Ed il pensiero a chi? Ciò fatto esciva dalla camera, riabbracciava e baciava i figliuoli, i suoi aiutanti di campo, gli astanti, porgendo loro le più vive azioni di grazie pei servigi a lui renduti e allo Stato. E dopo la mezzanotte, accompagnato da due soli domestici, partiva.
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