La Sacra Sindone a Montevergine
La Sindone si trova a Torino dal 1578.Tutti i Savoia considerarono sempre la Sindone come il loro bene più preziozo, pure l’ultimo re d’Italia, Umberto II, lo fece ed in un profondo atto di fede, con le sue disposizioni testamentarie, la donò al Papa. Così la reliquia ha lasciato la città solo due volte e sempre in relazione ad eventi che videro i suoi custodi, i Savoia, colpiti da assedi o guerre tali da pregiudicare la salvaguardia della Sindone.
Nel 1706, il sacro telo fu portato a Genova per sottrarlo alle rapine francesi. Tornò poi a Torino e vi rimase per più di duecento anni. L’ultimo suo viaggio fu nel 1939, quando re Vittorio Emanuele III l’affidò all’abate della comunità benedettina di Montevergine, presso Avellino.
Il prezioso incarico della traslazione fu affidato alla mediazione del Vaticano. La Sindone, partita da Torino a bordo di una comunissima automobile, raggiunse Roma il 6 settembre del 1939. Il giorno dopo arrivò a Napoli da cui fu spostata a Montevergine il 25 di quel mese.
Ma la guerra era ancora lontana, allora cosa si temeva?
Hitler odiava i Savoia, li riteneva un ostacolo alla piena affermazione del fascismo. In Germania non esisteva un re, in Italia, Mussolini non era stato capace di sbarazzarsene. Vittorio Emanuele III aveva gran timore che il Fuhrer non si sarebbe fermato davanti alcun ostacolo per fare sua la sacra reliquia cui il Casato tanto teneva, così ordinò di spostare la Sindone in Irpinia.
L’odio nazista verso i Savoia si mostrò tutto dopo l’8 settembre del 1943 quando il Terzo Reich attuò con l’inganno il sequestro della principessa Mafalda di Savoia, rinchiudendola nel lager di Buchenwald fino alla morte, e progettò pure il rapimentnto di Maria Josè di Savoia e dei suoi figli, tutto fortunatamente fallito.
Tuttavia non era solo per ripicca o odio che i nazisti intendevano impossessarsi della Sindone: nell’ideologia neopagana di Hitler la reliquia era carica di sacralità magica, di potenza taumaturgica, di forza esoterica, come la Lancia di Longino o il Graal.
La Sindone, nel cenobio benedettino, fu nascosta nel retro dell’altare del coro, laddove i monaci recitavano il Vespro. Era arrotolata e custodita in una cassetta d’argento rivestita di broccato.
Successivamente si stabilì che, nell’eventualità di bombardamenti, o pericoli l’abate era autorizzato a spostare la Sindone in una galleria artificiale scavata nella viva roccia a cento metri di distanza dal Coretto, alla quale si accedeva direttamente attraverso il corridoio del monastero, senza bisogno di uscire all’aperto. Un segreto pressappoco totale avvolgeva la sua presenza nel Santuario e neppure i monaci ne erano a conoscenza, pure i numerosi pellegrini che affluivano al Santuario non nutrirono il benché minimo sospetto che in quel luogo fosse custodito il sacro lenzuolo.
La Sindone fu portata dunque a Montevergine ma neppure stette al sicuro. Emissari inviati da Berlino setacciarono l’Irpinia per trovarla. Diverse insolite visite ricevette il Santuario, alcune direttamente da soldati tedeschi, autori pure di perquisizioni durante le quali portarono via diversi oggetti sacri. In un giorno del 1943, un manipolo di soldati delle SS, armi in pugno, fece irruzione nel complesso religioso avendo forse intuito qualcosa. L’abate D’Amore ordinò ai suoi confratelli di chinarsi a pregare sull’altare dove era nascosto il telo, salvando di fatto la Sindone.
Nell’abbazia irpina la Sindone rimase fino al 1946 per poi tornare a Torino.
Autore articolo e foto: Angelo D’Ambra