La Roma di Sisto IV

I contemporanei lo descrissero collerico e superbo, sicuramente la sua fu una politica nepotista. Sisto IV visse certo una età difficile per lo Stato Romano, incapace di stabilire gli equilibri in una Penisola indomabile. La sua però fu una Roma capitale del Rinascimento.

Il pontefice ordinò i lavori di restauro della Basilica di San Vitale, della Basilica di Santa Maria del Popolo, della Chiesa dei SS. Apostoli e fece ricostruire l’Ospedale di Santo Spirito in Sassia.

Sisto IV modificò in modo radicale la fisionomia della città con cospicui interventi viari ed edilizi. Nel 1473 fece ricostruire il ponte romano, il ponte Aurelianus e, nel prolungamento, fece allargare le strade fino a Piazza Navona. In questa sua opera di riqualificazione urbana di Roma si servì anche di efficacissimi strumenti come la bolla Et si de cunctarum civitatum del 30 giugno del 1480 che stabilì la facoltà d’acquisire le case adiacenti per ricostruire nuovi edifici ad decorem civitatis. Così un ponte sul Tevere, da lui eretto per il Giubileo del 1475, porta il suo nome. Quello fu il primo ponte costruito sul fiume romano dopo l’età classica, un’opera di ardita ingegneria, in tufo e travertino, a dorso d’asino su quattro arcate, progettato dal fiorentino Giovannino de’ Dolci.

Fece pure erigere una caserma per la guardia pontificia e costruire nuovi borghi a nord del Campo Marzio, nelle vicinanze del mausoleo di Augusto, destinati a dalmati e illirigi fuggiti davanti ai turchi.

La Cappella Sistina, da sola, potrebbe parlare a tutti del mecenatismo di questo pontefice, ma a Sisto IV si deve la promozione di innumerevoli preziose opere.

Il francescano Francesco della Rovere appena eletto pontefice riportò al Campidoglio le celebri statue pagane di Roma, la Lupa, i tre frammenti del Colosso di Costantino, lo Spinario ed il Camillo. Preludio, tutto ciò, della nascita dei Musei Capitolini.

Protettore degli umanisti, di fatti fu lui a destinare la Biblioteca Vaticana nel palazzo.

Sisto IV portò alla sua corte Bartolomeo Platina, Pomponio Leto, il Campano, il Porcellio, il Brandolini ed uno stuolo di architetti, scultori e pittori destinati ad arricchire la città. Ricordiamo Paolo da Campognano, Manfredo Lombardo, Antonio da Cannobio, Giovanni de’ Dolci, a cui si deve la costruzione della Cappella Sistina, e poi il Perugino, Mino da Fiesole, Cosimo Rosselli, il Botticelli, il Ghirlandaio, il Pollaiolo ed il Verrocchio.

Chiaramente distante dall’insegnamento di Francesco d’Assisi, e probabilmente sorprendendo anche il conclave che l’aveva eletto in virtù della sua fama di eccellente teologo, questo pontefice riaprì l’Accademia di Pomponio Leto sul Quirinale, chiusa da Paolo II dopo la congiura antipapale del 1468, ed ordinò al Platina, divenuto custode della Biblioteca Vaticana, la redazione dell’illustre Liber de vita Christi ac omnium pontificum, opera ornata dal miniatore Gaspare da Padova e dal calligrafo Bartolomeo Sanvito.

Eppure, per fare questo, soldi non ce ne erano. Già quattro giorni dopo la sua elezione, Sisto IV offrì ai suoi cardinali un grande banchetto a Castel Sant’Angelo. Coi commensali decise d’accedere al tesoro vaticano affinché a tutti fosse chiaro il bilancio della curia. Tra lo stupore generale si scoprì che Roma contava appena 7000 ducati, fatto salvo gli ori, i gioielli, le opere d’arte.

Per soccorrere il popolo afflitto dalla carestia del 1477, continuò ad indebitarsi e prese venticinquemila fiorini d’oro dal cardinale di Rohan che pagò l’anno dopo concedendo i castelli di Frascati, Soriano, Corchiano, Gallese, Alliano e Cervetri e pure cinque tenute a Vico, Casamale, Sasso, Carcara e Santa Severa (A. Coppi, Discorso sopra le finanze di Roma nei secoli di mezzo). La vendita di feudi e castelli fu una pratica molto diffusa sotto il suo pontificato…

C’erano i turchi da combattere ed era assolutamente necessario trovar soldi: 50 coppe d’argento, colme di perle furono vendute, si programmò l’aumento delle imposte e si fece una prima stima di quanto sarebbe stato ricavato dall’attribuzione delle cariche vacanti. Nonostante fosse con l’acqua alla gola, Sisto IV nel 1483, dimenticati per un attimo i turchi, investì 50.000 ducati nell’armamento di una flotta contro i veneziani e i soldi stavolta li ricavò da prestiti, principalmente ottenuti da banchieri genovesi, ma non mancò di far fondere tutta la sua argenteria, compresi i vasi sacri.

Il papa si servì del giubileo, già programmato dal suo predecessore, per provare a far cassa ed ebbe la geniale idea di estendere la validità delle indulgenze anche alle anime del purgatorio in modo da guadagnar più soldi.

Tutti questi soldi però non venivano usati per appianare i debiti della curia, anzi, in larga parte essi servivano a finanziare i nuovi magnifici progetti artistici ed urbanistici che contraddistinsero il suo governo.

La situazione economica che ereditò il suo successore fu addirittura peggio. Innocenzo VIII nei forzieri non trovò nulla, anzi! Il nuovo pontefice ereditò una situazione finanziaria pesantemente in deficit grazie alle spese di Sisto IV: il debito romano ammontava a ben 250.000 ducati. Con grande immaginazione, Innocenzo VIII creò quasi all’istante nuovi posti nella segreteria papale di cui non c’era affatto bisogno, 52 uffici dei piombi dei brevi apostolici. Con questa mansione bisognava solo apporre sigilli di cera sulle lettere pontificie, ma la carica serviva per garantire, con la loro vendita, i necessari introiti alle finanze vaticane. Il papa dovette pure impegnare parte dei suoi tesori ai grandi banchieri dell’epoca, un pò come del resto aveva fatto Pio II che aveva consenato alla banca genovese dei Centurioni la sua tiara ed ai Medici un tabernacolo d’oro…

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

Bibliografia: J. Heers, La vita quotidiana nella Roma pontificia ai tempi dei Borgia e dei Medici; A. L. Muratori, Annali d’Italia

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