La riconquista della Libia
La politica mediterranea e coloniale dell’Italia in Libia turbò non poco la Francia. Gli accordi tra i due Paesi del 1899, fortemente voluti dal Marchese Visconti Venosta, nostro Ministro agli Affari Esteri, giunsero al culmine di una silenziosa ma aspra polemica. Mediante quegli accordi la Francia si disinteressò alla Tripolitania e l’Italia si disinteressò al Marocco, affrettandosi a ritagliarsi una sua colonia, prima che i francesi potessero inghiottire tutta la sponda africana, dopo essersi presi l’Algeria e la Tunisia, questa in special modo ritenuta un sopruso dall’Italia, considerati i privilegi maturati dal Regno delle Due Sicilie in quel paese, privilegi a cui il Governo Rudinì preferì rinunciare. I francesi s’assicurarono il predominio anche sul Marocco escludendo l’Italia che aveva manifestato sempre un certo interesse per quel Paese, ma anche illudendosi che mai l’Italia avrebbe armato un esercito per prendersi Tripoli. Lo confessarono i giorni dell’epoca, André Tardieu, redattore del Temps, ed il giornalista Jacques Bainville. L’Italia tenne fede a tali accordi, la Francia invece, appena vide con sorpresa che le navi italiane salpavano per la Tripolitania, giocò sporco, aprendo la Tunisia al contrabbando di armi e uomini in favore della resistenza turco-araba e imbarcando sulle navi Manouba e Carthage uomini ed armi per i nemici. Addirittura il Trattato di Ouchy, col quale si riconosceva l’occupazione italiana di Tripolitania e Cirenaica ponendo fine alla Guerra Italo-Turca, fu firmato prima dalla Russia, poi dalla Germania, poi dall’Austria-Ungheria e solo per ultimo dalla Francia, aggrappandosi ad una serie i cavalli sullo status dei musulmani tripolitani residenti in Tunisia.
La colonia tanto desiderata, superate la prima infatuazione, non apparve ciò che si credeva. Tripoli era sicuramente movimentata, pulita, stupenda col suo Lungo Mare Volpi che andava dal Castello a Piazza dello Sparta, ricca d’edifici, piena di teatri, circoli, caffè affollati ad ogni ora del giorno da Piazza del Pane a Corso Vittorio Emanuele, coloratissima coi suoi mercati, ma tutto attorno era un deserto, l’agricoltura era allo sfacelo, solo dune, solo distese aride. C’era da lavorare per l’acqua, lavorare e sperimentare per rendere fertili i campi desertici, lavorare per produrre quello in Italia, ingenuamente, già si pensava che la Libia producesse: uve da tavola, legumi, verdure, olio… I veri problemi però erano altri: il Trattato di Ouchy, con cui la Turchia rinunciava alla sovranità sulle regioni libiche, non comportò la fine della resistenza delle bande tribali ed impose una nuova campagna italiana per ottenere il dominio dell’entroterra. Il successo permise all’esercito italiano di spingersi sino al Fezzan ma lo scoppio della Prima guerra mondiale impose all’Italia un ripiegamento, ratificato dalla Pace di Kallet ez zeituna. Fino al 1921, dunque, il dominio italiano in Libia rimase precario, e limitato ad una esigua fascia costiera.
La “Quarta sponda” nel 1921 era ancora tutta da conquistare. S’aspettò l’epoca del governatore Giuseppe Volpi che impose il ritorno a Misurata Marittima e nuove operazioni, il 22 aprile del 1922, lungo la costa fra Zuara, Zavia e Azizia che assicurarono il possesso di tutta la Gefàra fino a Bir Ganem. Il generale Rodolfo Graziani rioccupò Giado e Gabo, prese Narut, Jefren, Garian. Alla fine del 1922 tutto il Gebel Nefusa era tornato italiano. L’anno dopo si procedette all’occupazione della Msellat, di Tarhuna, il 6 febbraio, di Sliten, il 23, di Misurata, il 26, di Beni Ulid, il 27 dicembre. Nel febbraio del 1924 si occupò l’entroterra della Cirenaica. Pure Sinauen, Derg e Gadames con l’esercito che si ioltrò nel cuore della Ghiblda. Mizda fu occupata il 15 giugno 1924, il 23 novembre di quell’anno le nostre forze entrarono a Sirte.
Nel giugno del 1925 il generale Emilio De Bono fu inviato a reggere le sorti della colonia, unificò Tripolitania e Fezzan. I ribelli scapparono. Le armi furono riprese per ricongiungere la pacificazione della Cirenaica. Fu Pietro Badoglio, successore di De Bono, a completare le operazioni. Bloccato ogni rifornimento, i rivoltosi musulmani della Sinussia si ritrovarono deboli. Caduta in mani italiane anche l’oasi di Cufra, saccheggiata per tre giorni, il capo dei senussi Omar al-Mukhtār, venne catturato e giustiziato pubblicamente a Soluch il 16 settembre. Nel gennaio del 1932 Badoglio poté annunciare con un solenne proclama la completa e definitiva pacificazione della Libia.
Non mancarono gesti di clemenza: furono graziati 120 condannati politici il 28 ottobre del 1929, altri 137 il 2 giugno e 40 il 22 dicembre del 1930. Tuttavia non mancarono le atrocità: il generale Graziani deportò la popolazione del Gebel in accampamenti lontani dal teatro delle operazioni, circondati da filo spinato e costantemente sorvegliati da carri armati e aeroplani. Dodicimila tende, cioè la quasi totalità della popolazione della Marmarica, del Gebel e dell’Auaghir, vennero concentrate attorno ad Ain Gazala, con poco cibo e scarsa acqua, situazione in cui le esecuzioni sommarie punitive divennero consuetudine.
Autore articolo: Angelo D’Amba
Fonte foto: dalla rete
Bibliografia: G. Rochat, Le guerre italiane 1935-1943. Dall’impero d’Etiopia alla disfatta