La resa della Real Cittadella di Messina nel 1861
Messina, dal 28 luglio del 1860 al 12 marzo del 1861, conobbe l’eroica resistenza dell’esercito napoletano.
Il generale Gennaro Fergola ed i suoi uomini continuarono la strenua resistenza anche dopo la caduta di Gaeta. Nessuno di essi sperò forse in un rovesciamento delle sorti ed è proprio in virtù di questo che la loro scelta assume un carattere romantico ed eroico.
Erano 4.138 soldati e sottuficiali, 152 ufficiali e 5 generali, facenti parte della tredicesima direzione artiglieria, del 2° battaglione del Genio e del 3°, 5° e 6° reggimento di Linea. Il loro impegno si inserì in una parziale disobbedienza del generale Tommaso Clary che, nonostante comandasse 15.000 uomini, lasciò Messina a 2.500 garibaldini guidati da Giacomo Medici e Nicola Fabrizi rispondendo ad un ordine di Giuseppe Pianell, Ministro della Guerra delle Due Sicilie. L’ordine prevedeva lo sgombero totale di Messina per spostare le truppe sul continente, ma Clary non mobilitò i soldati della cittadella militare.
Quando, il 14 febbraio del 1861, il giorno seguente la capitolazione di Gaeta, il generale Chiabrera, che aveva preso il posto dei garibaldini, invitò Fergola ad arrendersi, ricevette un netto diniego. L’affronto fu tale che, il 27 dello stesso mese, Enrico Cialdini annunciò che avrebbe fucilato o consegnato al linciaggio popolare chiunque avesse opposto resistenza, fortuna che minacce non si concretizzarono. Iniziò così un fitto bombardamento.
Centocinquanta erano i cannoni dei borbonici, molti ma antiquati, alcuni di essi avevano più di cento anni, i 43 cannoni di Cialdini invece erano all’avanguardia, cannoni rigati modello Cavalli capace di raggiungere più lunghe distanze con maggior precisione.
Dal primo marzo alle ore 7.00 del giorno 13, un bombardamento incessante, non meno spietato del Cialdini che, ottenuta la resa, rifiutò la spada di Fergola dicendogli in francese: “Vi sputerei in faccia!”. Gli sconfitti non rinunciavano, tuttavia, ad un’ultima beffa nei confronti dei loro conquistatori, distruggendo gli otto stendardi della fortezza, richiesti con insistenza a Torino come bottino della vittoria.
Francesco II, colpito dal coraggio dei suoi uomini, concesse loro una medaglia in argento coniata appositamente a Roma.
L’ultimo messaggio del generale Fergola ai suoi uomini fu davvero toccante, ne riportiamo integralmente il testo: “Uffiziali, Sottouffiziali e Soldati, è questo l’ultimo ordine che io vi rivolgo, e la mano mi trema nel vergarlo. Allorchè presi il comando di questa Fortezza di voi tutti, sacro giurammo di difendere fino agli estremi questo interessante sito fortificato che la Maestà del Re (N.S.) aveva affidato al nostro onore e alla nostra fedeltà. Avete ben veduto che tutti abbiamo mantenuto il giuramento, serbando fedeltà, attaccamento e devozione al nostro amatissimo sovrano Francesco II. Immensi sono stati gli sforzi che per lo spazio di cinque giorni si son fatti colle nostre artiglierie per distruggere i lavori di attacco che il nemico costruiva sulle alture della città di Messina ed in altri siti ancora, ma poco effetto à provocato il nostro fuoco, sì perché quasi tutti i lavori erano al di là della portata delle nostre artiglierie, sì perché altri trovavansi mascherati da casamenti ed oggetti occasionali. Quindi l’inimico profittando di tali suoi vantaggi à compiuto inosservato la maggior parte dei suoi lavori. Poco dopo il mezzo giorno di oggi e precisamente quando estenuati di forze prendevate un po’ di ristoro, à aperto simultaneamente un fuoco formidabile contro questa Real Cittadella, che l’à ridotta in poche ore nello stato in cui si ravvisa, ad onta di quella resistenza che si è potuta fare colle nostre artiglierie di una portata molto inferiore a quella delle sue. Veduto dunque che inutile si rendeva qualunque altro nostro mezzo di difesa, e che eravamo a causa dello incendio sviluppatosi minacciati da una sicura esplosione della gran polveriera Norimbergh e suo magazzino attiguo anche pieno di polvere, se non vi si apportava un pronto rimedio, è chiesta per ben due volte per mezzo di parlamentari una tregua al nemico per la durata di 24 ore. Ma vedendo egli di quanto aveva col suo fuoco prodotto di danno e della trista posizione in cui eravamo, à rigettato la mia domanda, e mi ha fatto sentire che dovevamo renderci a discrezione, e che se a tanto non divenivamo e non gli si dava risposta decisiva per le ore 9 della sera, avrebbe riaperto il fuoco con l’aggiunta di altre batterie che ancora non erano punto a vista della fortezza. In tale stato di cose, riunito il consiglio di difesa e sentitone anche il parere, è stato forza sottoporci a quanto il nemico imponeva. Quindi mio malgrado e vostro, domani la Piazza sarà resa. Così non avrei giammai ceduto, ma gli incendi che seco noi minacciavano 1000 e più tra donne e fanciulli mal ricoverati, e che vi si appartengono, e la nostra eccezionale posizione, perché le potenze europee àn permesso una aggressione non mai letta nelle istorie, e noi da chicchessia sperar non potevamo soccorso di sorte, mi ànno obbligato a cedere. Cediamo alla forza perché sopraffatti dalla superiorità dei mezzi e non dal valore dei vincitori. Certo che la nostra resistenza non avrebbe salvata la Monarchia, sacrificata con la resa di Gaeta; non ci restava che salvar solo l’onore militare nazionale: e mi lusingo che lo stesso nemico ci farà giustizia di concedercene l’orgoglio, come spero che voi me la farete: nel convenire d’aver visto con voi fino all’ultimo i disagi, le privazioni, ed i pericoli. Un dovere però mi resta a compiere ed è quello di esternare a voi tutti i miei sentiti e distinti ringraziamenti per aver saputo ognuno così bene secondare le mie vedute nel difendere questa Real Cittadella, ove rinchiusi per circa 8 mesi abbiamo dato le più grandi prove di abnegazione e di fedeltà al nostro Augusto Sovrano Francesco II. Se l’abbiano particolarmente però i signori generali De Martino, Combianchi ed Anguissola, Ten. Col. Recco, Capitani Lamonica, Di Gennaro e Lauria; e fra tutti il mio capo di stato maggiore ed Uffiziali dello stesso signor Ten. Col. Guillamat, Capitano Cavalieri e Subalterni Gaeta e Brath. Io vi ringrazio tutti di cuore, poiché tutti avete gareggiato nella difesa della rocca. Accettate tutti vi prego tali miei ringraziamenti che partono da un cuore leale e riconoscente. Miei bravi compagni d’armi, nella mia lunga carriera militare di 47 anni ò veduto diverse peripezie non dissimili alla presente, ma però la provvidenza o presto o tardi ha fatto sempre rilucere la sua giustizia quando meno si attendeva, per cui non ci perdiamo d’animo, e confidando in essa auguriamoci giorni più felici, i quali compenseranno i tristi e dolorosi che abbiamo sofferti. Mi avevo prefisso di porre ai piedi del Real Trono le mie umili suppliche per chiedere alla munificenza Sovrana un compenso speciale al vostro attaccamento, alla vostra sperimentata fedeltà, ma la sorte avversa delle armi me lo à impedito e con dolore mi divido da voi tutti, ma porterò scolpito profondamente nell’anima mia la rimembranza di voi, della vostra fede. Della vostra lealtà, del vostro militare coraggio. Non sò quale sarà il mio destino ed il vostro in avvenire, ma se la mia età mi permetterà in seguito potervi rivedere, sarà sempre una vera gioia per me poter stringere la mano a qualcuno dei difensori di questa Real Fortezza, ai quali né le minacce, né i pericoli, né le lusinghe, né i pravi esempi, né men la morte seppe far declinare da quella via d’onore che solo è sprone e ricompensa al prode che pel suo Re combatte per vincere o morire. Addio miei bravi camerati! Addio! La sventura ci divide, fede e lealtà fu la nostra divisa, e questa non si spogli giammai da noi, ciascuno di voi porti scolpita in core la nobile parola, che l’univa con nodo indissolubile al nostro sventurato, ma eroico Sovrano. Fergola. 12 Marzo”.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Biografia:
AA. VV. , La Real Cittadella di Messina, Messina, 1988
Operazioni dell’artiglieria negli assedi di Gaeta e Messina negli anni 1860 e 1861, Torino 1864
G. Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta, Milano 1985