La Repubblica di Amalfi dallo splendore alla decadenza

E’ risaputo, Venezia fu la più potente delle Repubbliche marinare. Ci fu un tempo però in cui questo titolo spettò ad Amalfi.

L’origine della cittadina campana è avvolta nel mistero; secondo la leggenda, sarebbe stata fondata da una ninfa e, secondo la storia, a fondarla sarebbero stati marinai romani diretti a Costantinopoli e naufragati nel IV secolo.

Quando l’Italia fu longobarda, Amalfi restò amalfitana.

Per ben due secoli la catena dei Monti Lattari sbarrò il passo alle truppe germaniche. Formalmente suddita di Bisanzio, come parte del Catepanato bizantino dell’Italia meridionale, Amalfi era tuttavia indipendente di fatto e si difese da sè contro i salernitani di Arechi. Il fulgore del Ducato di Salerno era di fatti offuscato dalla supremazia costiera di Amalfi.

A partire dal 783 gli amalfitani sostennero, per due anni, gli assalti dei nemici longobardi che ebbero fine solo in seguito all’intervento dei napoletani. Cinquant’anni più tardi fu il principe Sicardo a rinnovare la conflittualità con Salerno. Stavolta però i napoletani non prestarono il loro soccorso ed Amalfì capitolò. Gli amalfitani furono deportati in massa a Salerno e solo dopo una rivolta poterono tornare a casa. Si riorganizarono e sotto la guida del Comes Piero allargarono i propri confini sino al Sarno, incorporando anche l’isola di Capri.

Parecchie cose erano nel frattempo cambiate: i pirati saraceni infestavano il Mediterraneo minacciando persino Roma. Fu allora che, aderendo ad un appello del Pontefice, gli amalfitani, assieme agli uomini di Gaeta e Sorrento, ingaggiarono scontri contro i saraceni. Si distinsero nelle battaglie di Licosa e di Ostia dell’846 e dell’848 ed Amalfi divenne città ricca e temuta.

La struttura politica retta dal Comes, eletto annualmente dal popolo, andò mutandosi in una sorta di principato retto da Prefetturi che godettero di poteri pressocchè illimitati. I Prefetturi erano stati persino insigniti del titolo di Patrizi dall’Imperatore d’Oriente nel 900, che tentava così di salvaguardare una dipendenza almeno nominale di Amalfi da Bisanzio. Nel 958 un nuovo cambiamento si realizzò con un colpo di stato che rovesciò il Prefetturo Mastalo e consegnò la Repubblica al Doge Sergio.

Disciolto il pericolo saraceno, Amalfi fu di nuovo aggredita dai salernitani. Stavolta in loro soccorso arrivò Roberto il Guiscardo: Salerno capitolò al normanno, ma anche Amalfi dovette rinunciare a gran parte della sua autonomia perchè il Guiscardo vi nominò un proprio governatore, o Strategoto.

Il tracollo era già iniziato quando, nel 1137, Amalfi fu assalita di sorpresa da cinquanta navi pisane e posta al sacco. Centinaia di case furono incendiate, decine di galee danneggiate. I pisani ritornarono due anni dopo in una Amalfi che doveva ancora riprendersi e che fu costretta a pagare un forte riscato ed a diventare tributaria di Pisa. A quanto pare molti amalfitani preferirono migrare in Puglia o raggiungere la Spagna, alcuni finirono a Costantinopoli, dove gli amalfitani erano stati i primi ad avere un proprio quartiere sul Bosforo, altri andarono a Gerusalemme dove, sul principio dell’anno mille, gli amalfitani avevano fondato un ospedale dedicato a San Giovanni. 

Con l’ascesa di Pisa, Amalfi tramontò, tuttavia restò a lungo il ricordo della sua potenza nautica assai progredita nelle scienze marinare e nel diritto commerciale marittimo con le note Tavole amalfitane, nonché nel perfezionamento della bussola. Basti ricordare che la leggenda attribuisce l’invenzione di questo strumento all’amalfitano Flavio Gioia e, sebbene non ci siano prove storiche che avvalorino la tesi, è certo che la bussola fu diffusa e perfezionata dai navigatori della Repubblica Marinara d’Amalfi.

 

Autore: Angelo D’Ambra

 

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