La presidenza Gronchi

Fallita la seconda candidatura di Einaudi, impossibile la convergenza dei voti sul candidato socialista, Ferruccio Parri, i democristiani puntarono su Merzagora, già presidente del Senato, ma qualcuno nella direzione spinse per un candidato inaspettato, Giovanni Gronchi. Dietro questo nome c’erano Gonella e Andreotti. Pensavano che Gronchi avrebbe potuto raccogliere i voti socialisti e che la sua presidenza avrebbe poi tutelato e garantito un’apertura a sinistra.

L’aveva pure intuito la Gazzetta del Popolo quando scrisse: “La candidatura di Gronchi non ha alcuna comiglianza con quelle super partes di De Nicola e Einaudi, è una candidatura politica che mira a cambiare la maggioranza governativa, a mettere fine ai governi centristi e ad aprire la strada a quelli di centrosinistra”. Non avevano torto. La presidenza di Giovanni Gronchi rispose pienamente a questo programma. Furono sette anni all’insegna di una interpretazione alquanto estensiva dei poteri del Capo dello Stato e con un marcato significato politico.

La DC disponeva di 380 voti, i liberali di 17, i socialdemocratici di 23, i repubblicani di 7, i comunisti di 193, i socialisti di 103, i monarchici di 46 e i lauriani di altri 9, pure i missini ne avevano 9. Alla prima votazione, Parri risultò primo e a Merzagora mancarono i voti di metà DC. Einaudi contò 120 voti, Gronchi 30. Alla seconda votazione Merzagora risultò ancora sconfitto, con 225 voti contro 332 schede bianche, mentre Gronchi era balzato a 127. Al terzo scrutinio Gronchi aveva completato il sorpasso con 281 voti e Merzagora ne ha 245, mentre Einaudi era sceso a 61. Fanfani provò a bloccarlo, voleva che rinunciasse e che tutta la DC converga su Merzagora, ma non ci riescì, anzi fu il senatore a rinunciare. L’ultima votazione diede Gronchi vincente con 658 voti (Einaudi 70 e schede bianche 92).

Fu la fine del centrismo e si vide subito. Dopo tre governi monocolore (De Gasperi, Pella, Fanfani) si ebbero due tripartiti DC-PSDI-PLI (Scelba e Segni) ed il governo monocolore di Adone Zoli, tuttavia furono meno stabili perchè il quadripartito democratico non aveva alla Camera la maggioranza assoluta dei voti.

Poco prima che Gronchi fosse eletto, Mario Scelba, presidente del Consiglio in carica, aveva definito la Costituzione una trappola di socialisti e comunisti, lui invece, nel suo primo discorso all’atto di insediamento, la difese e ne sostenne l’inderogabile attuazione.

In sette anni di presidenza Gronchi attraversò diverse crisi. La prima si aprì il 27 giugno del 1955. Affidò l’incarico di costituire un governo ad Antonio Segni e quando si palesarono le difficoltà che portarono Segni a chiedere e ottenere una proroga del proprio mandato esplorativo, Gronchi non nascose nulla all’opinione pubblica. Con un comunicato fece sapere: “Il presidente della Repubblica ha ricevuto l’on. Segni, il quale ha riferito sugli ulteriori contatti… facendo presente che esistono ancora alcune difficoltà derivanti dalle riserve espresse dai rappresentanti del Partito Liberale…”. Gronchi cioè nominò esplicitamente il partito politico che creava i maggiori problemi per la soluzione della crisi.

Ripetè tutto nelle elezioni del 1958 quando il governo DC-PSDI, presieduto da Fanfani, fu abbattuto dalla congiura dei dorotei. Gronchi allora denunciò pubblicamente i problemi nella segreteria democristiana con un comunicato in cui si lesse: “Il Presidente della Repubblica ha dovuto constatare che nessun orientamento sufficientemente concreto è emerso dalle consultazioni… In questo stato di cose, poichè le dimissioni del Presidente del Consiglio non furono provocate da un formale voto di sfiducia, il Presidente della Repubblica… ha ritenuto opportuno respingere le dimissioni invitando il Governo a presentarsi senza indugio al Parlamento per chiederne la fiducia”. Alla fine Fanfani si dimise adducendo ragioni di carattere personali.

In realtà il progetto di apertura a sinistra era già fallito. I tempi non erano maturi, i socialisti tardavano a sganciarsi dall’alleanza coi comunisti e, nel maggio del 1957, il governo monocolore Zoli, sorto per iniziativa del presidente stesso, ottenne la fiducia coi voti determinanti del Movimento Sociale. Il presidente del Consiglio, allora, presenentò le sue dimissioni, disgustato dall’aver ricevuto l’apporto da una forza erede del fascismo, lui antifascista. Gronchi però lo spinse a presentarsi all’approvazione dell’altro ramo del parlamento. Zoli alla fine si dimise aprendo la strada a Fanfani.

Nel marzo del 1960, fallì un nuovo tentativo di apertura a sinistra perchè pure Fernando Tambroni ottenne il decisivo sostegno dal MSI. Immediatamente, i ministri Giorgio Bo, Giulio Pastore e Fiorentino Sullo, appartenenti alla sinistra della DC, si dimisero, costringendo Tambroni a fare altrettanto. Solo dopo il Congresso, tenutosi a Napoli nel 1962, con Fanfani al governo e Aldo Moro alla segreteria, la Democrazia Cristiana approvò con ampia maggioranza la linea di collaborazione con il Partito Socialista Italiano.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: A. Comes, Il signor Presidente, L’Astrolabio, 10 gennaio 1971; S. La Rosa, I governi italiani dal 25 aprile 1943

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