La presa di Cremona
Quando si formò la Lega di Cognac, le poche forze spagnole che erano nel Ducato di Milano, appena ottomila uomini, si rinchiusero a Milano, la cui cittadella era in potere di Francesco Sforza, che fu presto fatto cedere le armi dal marchese del Vasto e Hernando de Alarcon. I confederati non osarono assediare Milano e si portarono invece a Cremona, dove, il 2 agosto, principiarono il loro assedio.
Una delle prime iniziative politiche di papa Clemente VII fu quella di costituire una coalizione capace di frenare l’egemonia spagnola che andava consolidandosi in Italia. Si schierò allora coi francesi e portò Firenze e Venezia a stringersi ad essa in una nuova alleanza contro Carlo V.
Nel Milanesado l’azione della Lega di Cognac si concentrò su Cremona.
La città era stata isolata e difesa solo da una emaciata guarnigione. Il suo castello restava nelle mani degli sforzeschi. I coalizzati, un corpo di seicento cavalli e cinquemila fanti, guidati da Malatesta Baglione, piazzarono allora due batterie e iniziarono a far tuonare le artiglierie per demolire ogni opera difensiva. I proiettili si schiantavano contro il muro senza grande esito, però gli spagnoli non disponevano di un solo cannone e fu impossibile per loro crear danni al nemico che anzi, presto, passò all’assalto.
La guarnigione spagnola era composta da cento uomini d’arme, duecento cavalli leggeri e milletrecento fanti tedeschi e spagnoli, soldati veterani, vissuti sul campo di battaglia, ma privi di artiglieria, munizioni e rifornimenti. Un primo attacco degli uomini di Baglione fu respinto, ma, dopo un nuovo cannoneggiamento supportato da qualche colpo sparato dalla fortezza, si aprì un’ampia breccia nelle mura. I francesi tentarono allora un secondo assalto e, tuttavia, anche questo andò fallito perché la guarnigione spagnola oppose una fiera resistenza, lasciando i fossati pieni di cadaveri.
Il nemico s’impegnò allora ad erigere due muri paralleli per dominare quelli in mano agli spagnoli e provare a prendere un bastione. Duemila guastatori, fortemente protetti, lavorarono giorno e notte al progetto, ma senza fare grandi passi in avanti perché gli imperiali si lanciavano in frequenti e coraggiose uscite, attaccando, incendiando e demolendo ogni costruzione. Questo sito, che era stato considerato facile, offriva ogni giorno nuove difficoltà, metteva in crisi il morale degli assedianti e ritardava i piani della Lega. Fu così che Francesco Maria della Rovere, Duca di Urbino mandò truppe fresche in supporto, ma risultati non se ne ebbero.
Il Duca accorse di persona e prese il comando dell’esercito assediante che ora contava ventimila uomini. Fece erigere nuove trincee, sempre ostacolate dalle sortite che i difensori ripetevano incessantemente. In uno di questi attacchi, la notte del 6 settembre, fu presa d’assalto la trincea che gli assedianti avevano costruito a lato del castello e gli imperiali riuscirono a penetrare nel campo, uccidendo più di cento soldati e ufficiali e lasciando in fiamme le opere appena realizzate.
Solo quando Cremona esaurì tutte le risorse, gli spagnoli accettarono di arrendersi. Gli imperiali sostennero l’assedio per più di tre mesi, ma dovettero cedere senza aver ricevuto alcun soccorso.
La resa si ebbe l’11 novembre. La capitolazione fu così onorevole che fu loro concesso di ritirarsi con armi e bandiere nel regno di Napoli.
Fu comunque una resistenza intelligente che permise a Frundsberg di reclutare i suoi lanzichenecchi e discendere dal Tirolo. Al termine della resa, la Lega aveva ancora una grande superiorità sull’esercito imperiale, ma le cose stavano cambiando. Si era perso tempo prezioso mentre Ugo di Moncada, con l’esercito del cardinale Pompeo Colonna, spingeva Clemente VII a rinchiudersi a Castel Sant’Angelo.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia: S. M. de Sotto Clonard, Historia orgánica de las armas de infantería y caballería españolas