La notte tra il 29 ed il 30 giugno 1849 e la difesa sul Gianicolo
Giuseppe Garibaldi ha avuto innumerevoli studiosi, che a centinaia ed a migliaia hanno scritto di lui: italiani, americani, inglesi, francesi, tedeschi, giapponesi… Uno dei migliori biografi di Garibaldi, secondo alcuni addirittura il migliore in assoluto, rimane però Georges Macaulay Trevelyan, autore di una memorabile trilogia sull’Eroe dei Due Mondi, in cui trattò della difesa della repubblica romana nel 1849 (vol. I), della liberazione della Sicilia nel 1860 (vol. II), della vittoria finale sul regno delle Due Sicilie (vol. III).
Questi scrisse i suoi libri dopo aver personalmente intervistato molti testimoni e protagonisti degli eventi descritti ed aver visitato i luoghi in cui si erano svolti, riportando nei testi una copiosa mole di dati che altrimenti avrebbero potuto andare perduti per sempre.
Il Trevelyan, il maggior storico inglese della sua generazione, ebbe fra i suoi pregi uno stile narrativo limpido ed elegante. Eccone un breve estratto, proveniente dal suo “Garibaldi e la difesa della Repubblica Romana”, (Roma 1909), in cui si descrive una fase degli ininterrotti combattimenti fra l’armata francese giunta nell’Urbe per schiacciare la repubblica romana ed i volontari che la difendevano.
Il generale Oudinot sferrò un attacco nella notte fra il 29 ed il 30 giugno nel settore del fronte posto presso le mura Aureliane, porta san Pancrazio, villa Spada e casa Merluzzo. L’offensiva, intrapresa subito dopo un violento temporale estivo, ebbe inizialmente successo, spazzando via l’avamposto di casa Merluzzo tenuto da pochi bersaglieri lombardi e ferendo mortalmente il Morosino, volontario appena diciottenne. Mentre gli italiani, colti di sorpresa e sopraffatti nel numero, rischiavano di crollare, arrivò Garibaldi con pochi uomini e guidò di persona una travolgente carica all’arma bianca, che ricacciò indietro i transalpini:
“Il distaccamento francese che aveva dato il colpo finale al Morosini caricò al di qua delle trincee, cacciandosi avanti tutti gli italiani che stavano alla guardia di quelle, fino a che inseguitori e inseguiti si scagliarono contro il cancello della villa Spada. Il Manara e i suoi uscirono alla difesa, ma non potendo discernere i nemici dagli amici a causa dell’oscurità, sospesero la scarica fino a che l’Hoffstetter poté distinguere a pochi metri le spalline dell’uniforme francese; allora i Bersaglieri fecero fuoco con effetto terribile e gli assalitori indietreggiarono.
Garibaldi stesso non era più nella villa Spada. Al primo allarme era balzato in piedi e si era lanciato fuori con la sciabola in mano gridando: «Orsù! Questa è l’ultima prova». C’era bisogno di lui là fuori; il primo urto della colonna francese aveva messo in fuga molti italiani che scorrazzavano qua e là nel buio, pazzi di terrore, mentre altri continuavano a tener fermo disperatamente in piccoli gruppi, presso il bastione Merluzzo e davanti alla villa Savorelli. A questo punto, quando una catastrofe vergognosa si faceva più che probabile, Garibaldi seguito da pochi valorosi si scagliò a capofitto sui francesi vittoriosi e pose argine al loro progresso: i fuggitivi ispirati dalla presenza del loro capo, tornarono sui loro passi e «l’ultima prova» fu degna dell’assedio di Roma. «Vidi Garibaldi» scrisse Emilio Dandolo, «spingersi innanzi con la spada sguainata e cantando un inno popolare». Nel folto della mischia egli cantava e fendeva colpi con la sua pesante sciabola di cavalleria che fu vista grumosa di sangue il giorno dopo. Dietro a lui le camicie rosse incalzavan l’urto. Sulla strada davanti alla villa Savorelli e sulla batteria della Porta San Pancrazio, italiani e francesi si azzuffavano corpo a corpo con furore primitivo. Nell’ultima ora di tenebre avanti l’alba, tutto il tratto dal Colle Pino alla Porta era una massa ondeggiante d’uomini che si ammazzavano a colpi di baionetta, di calcio di fucile, di lancia e coltello, al grido di «Viva l’Italia» «Vive la France». La cavalleria di Bologna, i camerati del Masina, sopravvissuti a lui ma per poco, si batterono a piedi fra i cannoni della batteria fino a che perirono quasi tutti. Il giorno dopo, i generali francesi ammirati e impietositi, videro il suolo coperto dei pennoni rossi delle lance ancor strette nel pugno dei caduti. Su questa scena sorse l’alba dorata; là come sempre nella freschezza mattutina s’ergevano ancora il Soratte, il Lucretile e il monte Albano. Ai primi albori gli italiani rioccuparono la linea delle mura Aureliane e la strada davanti alla villa Savorelli”.
E’ singolare che un capolavoro come il volume I della trilogia del Trevelyan non venga ripubblicato in Italia dal 1909.
Autore articolo: Marco Vigna
Marco Vigna è laureato in storia summa cum laude, dottore di ricerca in storia (Philosophiae doctor) ed autore di pubblicazioni nel campo di storia medievale.