La missione politica di Giuseppe Mazzini
Dopo le delusione seguite agli insuccessi dei moti del 1831, maturarono in Italia nuove riflessioni politiche per provare a risolvere il problema nazionale con metodi e vie diversi da quelli fino ad allora battuti dalla carboneria. Colui che dette una risposta alle nuove esigenze fu Mazzini, fu lui a conferire al processo rivoluzionario italiano, un altissimo contenuto ideale. Traiamo questi passi da Adolfo Omodeo, “Il senso della storia”.
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Chi legge le opere e l’immenso epistolario di Giuseppe Mazzini difficilmente si sottrae al fascino dell’uomo e all’ardore dei suoi affetti. Ma se dai suoi scritti cerca poi di ricavare un sistema, una piana teoria, vede svanire l’accento poetico, sente la puntura di proposizioni dogmatiche, l’inceppamento del cursus logico, e mette insieme qualcosa che ricorda i sistemi teologici ricuciti con massime evangeliche, o i commentari rabbinici del Vecchio Testamento, o l’esegesi coranica dei dottori musulmani. Ciò spiega come non sia mai esistito un vero mazzinianesimo, in senso stretto. Nella ricomposizione teorica qualcosa misteriosamente svapora. Chi ha esperienza della storia capisce che siam di fronte non ad un filosofo, ma ad una di quelle personalità in cui pensiero e azione sono indistricabilmente intrecciate: profeti ed apostoli che incarnano un momento dell’ideale umano, come i profeti d’Israele, l’apostolo Paolo, Maometto, Lutero; uomini la cui dottrina non può essere intesa se non compenetrata con la loro personalità e la loro intima esperienza. E man mano che gli anni la discostano da noi, la figura del Genovese, uscendo dagli oblii e dai dispregi dei contemporanei e della generazione immediatamente successiva, appare sempre più grande. Sentiamo com’egli sia l’esperienza religiosa che sta alla base della terza Italia, anche se restiamo fuori di questa o di quella particolare credenza sua e dal pavore della stretta osservanza della dottrina. Sentiamo com’egli abbia ancora qualcosa da dire alla nostra età.
Il punto da cui mosse Mazzini era il pensiero religioso che chiudeva nell’animo di quasi tutta Europa, la storia tempestosa della Rivoluzione e dell’Impero. Uno dei più grandi geni umani aveva fallito nel tentativo di creazione demiurgica. La storia umana appariva perciò guidata non dalla mente e dal volere dell’uomo, fosse pure il più alto genio, non dal caso, ma da una provvidenza che supera gli accorgimenti politici e che drizza a ignote mete la nave dell’umanità. È un pensiero che circola con accenti diversi fra i reazionari e i liberali. Già gli scrittori reazionari, di fronte alla Rivoluzione, avevan proclamato che la catastrofe del vecchio mondo era il segno apocalittico o del nascere di una nuova religione o del rinnovarsi del cristianesimo. Questo motivo apocalittico, di Dio guida della storia e di una nuova fede che s’inaugura, sono le credenze fondamentali del Mazzini. Egli le trovava nell’aria nei giorni che seguirono la rivoluzione parigina del luglio 1830. Anche un sistema socialistico che allora ebbe il suo quarto d’ora di celebrità, il sansimonismo, sognava una nuova religione, un “nuovo cristianesimo” che consentisse una nuova struttura organica della società. Il Lamennais, già distaccatosi dai reazionari, dopo le tre giornate levava in vessillo il motto “Dio e libertà”, e prometteva nel cattolicesimo la forza rigeneratrice della vita sociale. Quando il Papa lo condannò, il Lamennais persisté nell’apostolato della nuova fede sociale, che doveva educare e formare la democrazia. La religione o vecchia, o nuova, o rinnovantesi s’era mescolata e si mescolava ai moti della nazionalità: nell’insurrezione spagnola che aveva distrutto il fiore degli eserciti napoleonici in nome del cattolicesimo, nella resistenza russa a Napoleone animata da una mistica fede popolare, nel rilevarsi della Germania protestante, nell’insurrezione greca contro il turco. Religione, patria e rinnovamento morale e sociale si mescolavano negli scritti degli esuli polacchi che la fallita rivoluzione del ’30-’31 disperdeva per tutta l’Europa. Il motivo biblico d’Israele disperso e flagellato si ravvivava presso questi polacchi. Essi chiedevano a Dio la restituzione della loro patria smembrata. Come penitenti confessavano le colpe che avevano attirato su loro il castigo; e speravano che Dio avrebbe loro restituito la patria quando più amore, più carità, più evangelica pietà avesse animato i figli della Polonia. La patria appariva il coronamento d’una rigenerazione morale e sociale e religiosa, d’una carità superiore agli egoismi individuali e di classe.
In questa temperie di romanticismo politico-religioso, che dominò in vaste zone d’Europa fra il ’30 e il ’48, in questa sete di umana civiltà, maturò il pensiero di Giuseppe Mazzini, specialmente quando, gravemente indiziato di propaganda carbonara fu, nel febbraio 1831, inviato in esilio da Carlo Felice. L’entusiasmo non fu pel Mazzini come per altri – per esempio il Montalembert – una febbre di gioventù: ma la visione di un ordinamento divino in cui soltanto la sua vita acquistava un senso, in cui egli arrivava a concepire la risurrezione della propria patria e il còmpito della patria nel mondo. Poco questo suo pensiero si modificò col decorrere degli anni: egli rimase tenacemente fedele al “sogno della sua gioventù”, anche nel mutarsi del clima storico: quando i conservatori italiani lo deridevano come “papa Mazzini”, e Carlo Marx gli appioppava il nomignolo di Teopompo, per il colorito religioso teologico del suo evangelio. Come il profeta Geremia, gridò infaticabilmente la sua fede per tutta la vita, dolorando e spasimando. Operare nel mondo significava pel Mazzini collaborare all’azione che Dio svolgeva, riconoscere e accettare la missione che uomini e popoli ricevon da Dio e ambire all’iniziativa che dischiude nuova vie all’umanità; piegarsi al comandamento interiore, far centro della vita il dovere: senza speranza di premio, senza calcoli di utilità. Rapidissimo e continuo è lo scorrere del pensiero politico in quello religioso, e del pensiero religioso in quello sociale. Son tutt’uno. Le patrie e i popolo sono pensieri di Dio: le patrie esigono cittadini animati da una superiore coscienza umana. Bisogna suscitare e crear le condizioni sociali perché il popolo sia elevato alla patria e alla coscienza del dovere. Sicché se a traverso l’opera di chi è conscio della sua missione il popolo è formato ed educato, il popolo, là dove si levi ad affermarsi contro ogni tirannide, è l’estrinsecazione del pensiero divino: il profeta di Dio.
La concezione democratica mazziniana è quindi nettamente antitetica alla dottrina dei diritti delle ideologie rivoluzionarie di Francia. La democrazia non è esercizio dispotico ed arbitrario di sovranità (o di tirannide) da parte del popolo; è piuttosto demofilia che democrazia. Vuol essere al tempo stesso redenzione del popolo dalle mitologie materialistiche che le diverse forme di socialismo vanno propagando. Questa democrazia deve risvegliare i popoli e porli sulla via di Dio, la via del progresso.
In questo pensiero apocalittico sui tempi nuovi, il pensiero mazziniano ha insieme profonde somiglianze col pensiero mistico teocratico dei reazionari, soprattutto con Joseph de Maistre, e profonde differenze. Le somiglianze sono in una comune origine di un pensiero teosofico diffusosi specialmente nelle sètte alla fine del ‘700.
Il divario per cui Mazzini si distacca dal pensiero mistico religioso dei reazionari e si ricongiunge ai liberali è nell’esclusione del concetto di espiazione, e nell’affermazione della fede nel progresso. Joseph de Maistre era stato il maggior assertore dell’espiazione umana. I dolori, le sventure e i flagelli che affliggon l’umanità non son che l’espiazione d’una colpa originale e d’una corrotta natura dell’uomo. Il Mazzini invece rinnega il concetto espiatore, che sarebbe l’espressione d’una perenne vendetta di Dio, e tende ad una visione dinamica della provvidenza (mentre la concezione reazionaria del Maistre tendeva alla stasi). Pel Mazzini tutta la storia dell’umanità è la progressiva rivelazione della provvidenza divina. Di tappa in tappa l’umanità ascende alla mèta predisposta da Dio: una civiltà è gradino ad un’altra; una fase si chiude ed una nuova s’inizia. Esauritosi e risoltosi il còmpito del cristianesimo in questa nuova fede del progresso, chiusasi piuttosto che iniziatasi una nuova èra con la Rivoluzione francese, il campo era aperto alle iniziative dei popoli e sopratutti all’iniziativa del popolo italiano. Sulla base della comune civiltà europea, livellata dall’alluvione rivoluzionaria, un nuovo edificio doveva sorgere: dovevan sorgere quei liberi popoli che, affermatisi contro Napoleone, erano stati defraudati e divisi dalla perfidia dei principi e dei diplomatici. Si apriva non la gara dei nazionalismi, bensì la nobile emulazione dei popoli.
Alle nascenti o rinascenti nazionalità la democrazia francese nei cenacoli delle sètte, e, dopo le tre giornate, nella libera stampa, offriva il suo patronato: si vantava d’aver l’iniziativa dalla grande Rivoluzione in poi; sosteneva che gl’istituti nati dalla Rivoluzione e la civiltà francese avevano un carattere universale tale da consentire alla Francia un primato, un ascendente, un patronato su tutte le nazioni. Il Mazzini di questo primato francese diffidava: ricordava l’apostolato armato degli eserciti rivoluzionari francesi, che scuotendo i troni dei “tiranni” avevano assoggettato a nuova tirannide i popoli, e avevano impedito all’Italia di costituirsi: ricordava l’epoca in cui i migliori italiani avevano invano sospirato verso una loro unità che li redimesse dalla nuova servitù, e facesse valere l’Italia come forza. E non solo rintuzzava il primato egemonico rivendicato dalla Francia, ribadendo la fraternità dei popoli nell’eguaglianza, ma sosteneva ch’era venuta l’ora dell’iniziativa italiana, che non era egemonia ma esempio: iniziativa che doveva creare una terza civiltà non più con l’imperio delle armi, non più col dominio teocratico, ma con l’associazione dei liberi popoli, che devono proceder concordi verso la mèta da Dio fissata al progresso umano. La sete d’unità nata negli anni della Rivoluzione e dell’Impero in pochi pensatori isolati, si esaltava così nel pensiero mistico-religioso del Mazzini. Il progresso voluto da Dio è processo d’unificazione sempre più vasta, fino al termine, in cui, come dice l’Apostolo, Dio sarà tutto in tutti.
L’unione e l’amore
Rivelano ai popoli
Le vie del Signore,
riecheggerà l’inno mazziniano.