La Missione Mineralogica Italiana Sanfilippo
Il 23 giugno 1910 partì da Tripoli una spedizione italiana, ufficialmente volta a svolgere una esplorazione agronomica, ma in realtà diretta a portare avanti studi minerari. Promossa dal Banco di Roma e sostenuta dal Governo Giolitti, la spedizione era guidata dal siciliano Ignazio Sanfilippo, Direttore Generale Tecnico della Société Generale des Soufres. Tappa principale del viaggio fu il luogo del deserto sirtico nel quale era stata segnalata la più importante miniera di zolfo. Sanfilippo completò la missione e ad agosto tornò a Roma. Pur non avendo potuto effettuare alcun sondaggio o prelievo di campioni minerali, la sua relazione colpì il governo che lo incaricò subito di portare avanti una seconda spedizione.
L’8 aprile del 1911 Sanfilippo, affiancato dal conte Ascanio Michele Sforza, vice capo missione, dall’interprete Vittorio Maffei, dall’amanuense Gaetano Rosselli e dall’attendente Francesco Lavinaro, partì nuovamente da Tripoli, stavolta per un viaggio più lungo. Concordò con Ibraim pascià, Valy di Tripoli, un preciso itinerario che avrebbe dovuto condurlo a Zanzur, Zuavia, Giadò, Tamsin, Zantom, Jefren, Garian, Tarhuna, Mesellata, Homs, Silten, Mistrata, Orfela, Sokna, Zelle, Marade, Muktar e Bengasi, con un incremento della scorta lungo il percorso verso l’interno. A Bengasi il nostro si sarebbe dovuto accordare col Mutasserif per il resto del viaggio in Cirenaica.
Il cammino iniziò senza intoppi, ma anche senza scorta. Tutto filò liscio fino a quanso, usciti da Giadò, i zapté turchi si ammutinarono. Gli italiani continuarono sino Jefren e qui si avvidero che la scorta locale si era ridotta stranamente a soli sei zapatié.
A quanto risultò possibile capire non tutti i membri locali potevano percorrere liberamente quei territori. Molti avevano combattuto contro gli abitanti delle città che si toccavano e preferivano scomparire per evitare guai. Perplesso, il contingente italiano riprese il cammino, certo che il Valy avrebbe inviato nuovi uomini, e raggiunse Garian l’8 maggio e qui fu cordialmente ricevuto dal Kaimacan Gorgi, un ricco tripolino che si diceva discendente di un siciliano di nome Giorgio. Sostarono qui diversi giorni prima di riprendere il viaggio. Lungo il tragitto un marabut iniziò ad imprecare contro i loro cammellieri perchè conducevano degli “infedeli” in un paese musulmano. Tutto filò liscio ma al 10 luglio la scorta promessa dal Valy non era ancora arrivata.
Cinque giorni dopo finalmente si presentarono 30 gendarmi inviati dal Valy e la carovana potè muoversi verso l’interno sino al primcipio di ottobre. Il 3 di quel mese, l’ufficiale della scorta, Ahmed Effendi, comunicò a Sanfilippo che doveva ricondurlo a Sokna perchè l’Italia aveva dichiarto guerra alla Turchia e bombardato Tripoli. Nelle fasi concitate dell’evacuazione della comunità italiana, inspiegabilmente il governo s’era dimenticato di far rientrare in tempo la Missione e di mettere gli italiani in salvo. Tra mille incertezze e paure, gli italiani tornarono dunque a Sokna e furono rinchiusi nella locale prigione sotto la guardia di treneta zaptié e di una compagnia di soldati. Il 14 ottobre gli ufficiali della gendarmeria irrupperò nelle prigioni e li perquisirono. Sequestrarono armi, denaro e corrispondenza, lasciarono invece pellicole e macchine fotografiche presentate loro come medicinali. Il 18 novembre i prigionieri furono trasferiti nelle carceri del Fezzan.
A gennaio pervenne l’oro l’annuncio di una imminente liberazione. Cosi accadde e, scortati, tornarono a Sokna. Fortunatamente il Kaimacan Baha Eddin bey, giovane ufficiale albanese, fu cortese e permise a Sanfilippo ed al conte Sforza di fare passeggiate, indagini naturalistiche e fotografie, ma i problemi non erano finiti. Il cammino riprese ed il 10 marzo gli italiani si ritrovarono a Garian dove furono informati che erano prigionieri di guerra. Così furono trasferiti a Jefren. Patirono poco cibo, condizioni igieniche precarie, sete e caldo, fortunatamente non mancò mai loro la possibilità di telegrafare alle famiglie e ricevere risposte. Anche nel campo turco di Zavia. Furono tredici mesi durissimi, segnati da numerosi cambi di prigioni, faticose marce per centinaia di chilometri, fino all’ alba dell’11 novembre 1912 quando i prigionieri furono accompagnati davanti alle trincee italiane di Sidi Bila.
A metà del 1914, Sanfilippo riuscì però a presentare al Banco di Roma un copioso rapporto con preziosissimi studi sui campioni di minerali, sui fossili e sugli echinidi raccolti. La “Collezione Sanfilippo” è ancora conservata presso il Museo Paleontologico dell’Università La Sapienza di Roma.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia: V. Ferrara, Ignazio Sanfilippo. Un Gattopardo nel Deserto