La groma di Verus
La groma era lo strumento fondamentale per comprendere come i romani fossero in grado di suddividere con precisione i territori nonostante dislivelli, colli, fiumi e avvallamenti.
A partire dal 1912, intensi lavori di scavo nell’area archeologica di Pompei portarono alla luce, lungo il lato meridionale della Via dell’Abbondanza, una piccola bottega artigianale. L’ambiente si apriva con una larga porta sulla strada e l’interno era separato in due vani col retrobottega illuminato da una grande finestra che affacciava sull’atrio della casa continua, la Casa del Criptoportico. Il pavimento era in cocciopesto e marmo policromo, le pareti intonacate e la soglia di marmo, con fiori; una scala ad ovest conduceva poi al secondo piano di cui però non è rimasto nulla.
La bottega venne subito attribuita a Verus, un nome che appare su una iscrizione elettorale della facciata dell’edificio. Probabilmente, si pensò, Verus era un faber aerarius, un artigiano del ferro, ma le cose forse non stanno così.
L’aspetto interessante di questo rinvenimento è da attribuire agli innumerevoli oggetti trovati. Tra di essi, vasi di bronzo, vetro e terracotta, una lucerna con statuetta itifallica e portamonete, spiccano soprattutto strumenti lavorativi che lasciano invece supporre che il proprietario fosse un geometra e non un fabbro o che vendesse strumenti di misurazione: ci sono compassi, il pes romanus e soprattutto c’è la groma.
Secondo Sesto Pompeo Festo, la groma era “un piccolo congegno grazie al quale potevano essere conosciute le misure di qualsiasi campo”. Gli si attribuisce una origine greca, in realtà è probabile che il termine groma derivi non da gnomon, come suggerisce Festo, ma dall’etrusco cruma. Fino alla scoperta di Pompei, non si conosceva come era fatta, nè come funzionava.
La groma era dunque usata per le misurazioni topografiche dagli agrimensori, i mensores, per questo chiamato anche “gramatici”. E’ composto da una croce di metallo da cui pendevano quattro contrappesi, che veniva posta su un rostro e montato su un bastone, il ferramentum, con la punta da infiggere nel terreno. Lo strumento era conficcato nel suolo e la proiezione a terra dei quattro fili determinava le coordinate di orientamento per gli agrimensori. Grazie alla groma quindi era possibile tracciare sul terreno allineamenti semplici e ortogonali, necessari alla centuriazione dei terreni.
Si trattava di uno strumento così prezioso che lo studioso G. Libertini, in “Gromatici Veteres – Gli Antichi Agrimensori”, non solo fa discendere da groma il toponimo di Grumo Nevano, cittadina in provincia di Napoli, ma addirittura quello della stessa Roma.
La centuriazione, di cui la groma era protagonista, consisteva nella misurazione e nella divisione regolare del territorio in appezzamenti quadrati mediante gli incroci degli assi ortogonali, era il processo di definizione di un vero e proprio piano regolatore che dettava lavori di canalizzazioni idrauliche, disboscamenti e reti viarie. Attraverso la groma era possibile tracciare le linee del cardo maximus e del decumanus maximus, ai cui estremi si ponevano le quattro porte della città, mentre nel punto di incrocio sorgeva il foro. L’agrimensore successivamente tracciava i cardini e i decumani massimi secondari chiamati “limites quintarii” ed il territorio risultava così diviso in superfici quadrate chiamate “saltus” che venivano scomposti in superici quadrate, le centurie.
Questa procedura si applicava anche per calcolare la larghezza dei fiumi, l’estensione degli acquitrini e delle paludi, la distanza delle navi in avvicinamento ai porti.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Fonte foto: dalla rete