La Grande Riforma del 1832
All’inizio del XIX secolo il Regno Unito si trovava in una situazione particolarissima. Vi era esplosa la rivoluzione industriale e la borghesia liberale si affermava a passi da gigante, i tentativi assolutisti della monarchia erano stati respinti ed era saldo nel parlamentarismo, si facevano poi strada le libertà civili dei cittadini, ma dall’altro lato, era un paese profondamente arretrato, di fatti ancora semi-feudale e le assemblee parlamentari erano dominate dall’aristocrazia conservatrice, un paese di ancien régime che si era opposto con forza alle innovazioni portate dalla Rivoluzione francese.
Il migliore esempio di questa convivenza tra modernità e medioevo è proprio il sistema parlamentare britannico. Bisogna tenere presente che il parlamento britannico, a differenza di quasi tutti i parlamenti del resto d’Europa e del mondo, è la diretta continuazione delle assemblee rappresentative medievali; questo non sarebbe un problema di per sé, tuttavia è un fatto che causa enormi complicazioni.
I collegi che eleggono i membri della Camera dei Comuni erano divisi in due categorie: le Contee (Shires), ovvero le divisioni storiche dell’Inghilterra i cui confini ricalcano quelli delle contee medievali (e potevano eleggere due rappresentanti, ma le contee gallesi solo uno), e i Borghi (Boroughs), centri abitati a cui fu concesso di eleggere rappresentanti propri.
L’idea di fondo era che i due rappresentanti dello shire rappresentassero la piccola nobiltà, i cavalieri, e per questo i membri della Camera dei Comuni eletti in uno shire erano noti come Knights of the Shire (Cavalieri della Contea). Al contrario, nei boroughs erano eletti i rappresentanti della borghesia cittadina: mercanti, artigiani, piccoli proprietari, ecc. Si nota, quindi, come all’inizio dell’800 il Parlamento britannico avesse ancora un impostazione profondamente feudale e corporativa, impostazione aggravata dal fatto che i criteri con cui, nel corso dei secoli, un centro abitato era stato innalzato a borough erano totalmente arbitrari. In base a questo era possibile che un villaggio di cinquanta abitanti avesse lo status di borough e mandasse due rappresentanti a Westminster perché nel 1188 il signore del villaggio aveva donato al re Riccardo I ‘Cuor di Leone’ un cavallo da guerra di razza pregiata, e come ringraziamento il sovrano aveva elevato il villaggio. Al contrario, una cittadina vicina che si era sviluppata grazie alla rivoluzione industriale era completamente assente dalla rappresentanza parlamentare.
Alcuni casi reali altrettanto eclatanti di rotten borough erano Old Sarum (motta diroccata che, con sei elettori, eleggeva due parlamentari) e Dunwich, centro franato nel mare che eleggeva un parlamentare. Allo stesso tempo, grandi città industriali come Manchester, Leeds e Birmingham non avevano una rappresentanza propria, anche se i loro residenti con diritto di voto potevano partecipare alle elezioni per i seggi della corrispondente contea (rispettivamente il Lancashire, lo Yorkshire e il Warwickshire).
Ai rotten borough erano collegati i pocket borough, borghi effettivamente abitati, ma controllati da un singolo proprietario terriero, che quindi vi esercitava un forte controllo sul processo elettorale (anche grazie al fatto che all’epoca il voto era palese e non segreto) e poteva far eleggere sistematicamente figli, parenti o amici.
Spesso le due categorie coincidevano: il rotten borough di Old Sarum fu per diversi decenni anche un pocket borough della famiglia Pitt, potente famiglia di politici whig; nel 1802 i Pitt decisero di vendere il borough di Old Sarum alla famiglia Alexander in cambio di 60.000 sterline, e la famiglia Alexander mantenne Old Sarum come proprio pocket borough fino alla riforma del 1832. E sì: nell’Inghilterra del XVIII secolo era pratica comune la compravendita di seggi elettorali.
Certamente è facile puntare il dito sulle cose che non funzionano in un sistema, ma fare delle riforme per tentare di correggere tutto è una cosa molto più difficile, che richiede tempi lunghi, mediazioni e dibattiti politici. Un processo già di per sé complicato, che diventa quasi impossibile se una parte politica trae benefici dal sistema e quindi ha interesse a mantenerlo. E all’inizio dell’800, l’arcaico sistema dei boroughs forniva un pesante vantaggio elettorale ai tories, i conservatori, che grazie ai pocket borough e ai rotten borough avevano una maggioranza molto forte alla Camera dei Comuni. I whigs, i liberali favorevoli alla riforma elettorale, nel corso degli Anni Venti dell’800 riuscirono solo a passare poche modifiche al sistema elettorale.
Le elezioni del 1830 furono un punto di svolta, perché per la prima volta la campagna elettorale fu interamente centrata sulla riforma elettorale e, grazie alle divisioni nei tories, il governo conservatore del duca di Wellington, ostile alla riforma del sistema elettorale, fu sostituito da quello di Lord Charles Grey, riformatore whig. Il 1º marzo 1831 Lord John Russell (nonno del filosofo e matematico Bertrand Russel) presentò il Reform Bill alla Camera dei Comuni per conto del governo. Il disegno di legge aboliva sessanta dei più piccoli borghi e riduceva la rappresentanza di altri quarantasette. Il 22 marzo, nonostante l’alta partecipazione il voto in seconda lettura alla Camera dei Comuni passò con una maggioranza di un solo voto, e ulteriori progressi nell’iter parlamentare apparivano difficili. Per evitare ‘imboscate parlamentari’ che annacquassero la riforma, Lord Grey chiese al sovrano di sciogliere la Camera, così da rafforzare la propria maggioranza.
La pressione politica e popolare in favore della riforma crebbe a tal punto che, dopo queste vicende, i whigs ottennero una stragrande maggioranza ai Comuni nelle elezioni generali del 1831: 370 seggi su 658. Il Reform Bill fu perciò nuovamente portato davanti alla Camera dei Comuni, che lo approvò in seconda lettura a larga maggioranza nel mese di luglio. Il testo fu quindi licenziato verso la Camera dei Lord, dove però la maggioranza era ostile alla riforma. Infatti, a ottobre i Lord respinsero il disegno di legge con uno scarto di 41 voti. La sera stessa del voto, scoppiarono rivolte a Derby, Nottingham e a Bristol.
Nel dicembre 1831, il terzo Reform Bill fu depositato dal governo ai Comuni. La nuova versione fu approvata alla Camera dei Comuni nel marzo 1832; di conseguenza, fu ancora una volta inviato alla Camera dei Lord. Rendendosi conto che un altro rifiuto sarebbe stato un suicidio politico, gli avversari della riforma decisero di utilizzare il potere dei Lord per emendare il disegno di legge, attenuandone l’impatto riformatore. Il governo considerò allora di piegare la resistenza dei Lord proponendo al re la creazione di un grande numero di nuovi titoli nobiliari, da attribuire a sostenitori della riforma. Ma quando Guglielmo IV si oppose a una decisione così drastica e respinse il parere unanime del suo gabinetto, Lord Grey si dimise. Il re invitò allora il duca di Wellington a formare un nuovo governo.
Sembrava che la riforma fosse destinata a morire; i liberali avevano perso la guida del governo, e a Downing Street era tornato uno dei politici più ostili alla riforma. Il sistema aveva affossato il Reform Bill, e il popolo, che, in larghissima maggioranza, sosteneva la riforma, non la prese bene. Il periodo successivo fu conosciuto come Days of May, e vide un grande livello di agitazione popolare e violenza politica. L’Inghilterra, la nazione che si era opposta con maggior forza alla Rivoluzione francese e a Napoleone, rischiava di essere la prossima vittima di una rivoluzione.
In queste circostanze, il duca di Wellington ebbe grandi difficoltà a costruire il sostegno per la sua premiership, nonostante la promessa di una riforma moderata. Ciò lasciò Guglielmo IV senza altra scelta che recuperare Lord Grey, e accettare la sua proposta di ribaltare gli equilibri nella Camera dei Lord con una infornata di nuovi pari whig favorevoli alla riforma. Ma quest’ultimo passo non fu necessario; senza informare il proprio gabinetto, Wellington diffuse una lettera tra i pari tory, incoraggiandoli a desistere da ogni ulteriore opposizione alla riforma. Astenendosi da ulteriori voti, la riforma passò alla Camera dei Lord e la Corona non fu costretta a creare nuovi pari.
Il Reform Bill ricevette finalmente l’assenso reale il 7 giugno 1832, diventando così legge.
Oltre ad eliminare i rotten boroughs, e aumentare la rappresentanza delle nuove città, la riforma abbassò i requisiti di reddito per il voto, aumentando la dimensione del corpo elettorale da 400.000 elettori a 650.000, portando così la quota dei cittadini con diritto di voto a 1 su 6 maschi adulti, su una popolazione di circa 14 milioni. In generale, il Reform Act aprì anche la strada ad ulteriori riforme elettorali nei decenni successivi, fino ad arrivare nel 1918 al suffragio universale maschile, e nel 1928 al voto alle donne.
Autore: Dario Carcano, laureato in Scienze e Tecniche Psicologiche presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, è appassionato di storia e ucronie