La fuga di Felice Orsini dal carcere di Mantova
Fece ingresso nel camerotto numero tre alle undici di sera del 28 marzo del 1855. Come tutti i prigionieri era stato alloggiato in una stanza del piano soprastante quello principesco, dove una volta avevano avuto dimora i maggiordomi dei Gonzaga. La prima cosa che fece fu guardare fuori la finestra, oltre le inferriate e da quel momento iniziò a calcolare tutto per evadere.
Felice Orsini lo raccontò in prima persona nelle sue Memorie.
In ventiquattro giorni, tagliò otto spranghe di ferro dello spessore di tre centimetri. Al secondo tentativo di fuga, nella notte tra il 29 ed il 30 marzo del 1856, dopo la visita delle guardie dell’una e mezza, si calò lentamente dalla finestra. L’impresa era sfiancante, perse le forze, si lasciò andare precipitando nella fossa da quasi quattro metri, battendo le ginocchia contro le mura e restando privo di sensi. Si riebbe dopo un pò, ma ogni sforzo per riprendere la fuga fu inutile, aveva una gamba rotta. Alle sei del mattino fu tirato su da due uomini e, nonostante il dolore alle gambe, iniziò a correre per allontanarsi dal castello e guadagnarsi la libertà nelle alture circostanti Mantova.
Nelle sue Memorie non rivelò tutto, non parlò degli aiuti ricevuti per compiere l’impresa, non scrisse di chi l’aveva coperto, di chi gli aveva fornito lame e tenaglie, chi l’aveva aiutato nella sua evasione… Si sarebbe saputo dopo.
Della sua fuga il secondino Giatti fu il primo ad accorgersi. Erano le sei del mattino, quandi Orsini era ancora fuori nella fossa. Le guardie immediatamente raggiunsero la fossa, sospettarono che il fuggitivo vi fosse nascosto, ma non riuscirono a trovarlo. Passarono a setacciare la città, irruppero nelle case dei sospetti liberali, ma niente.
Di Orsini non trovarono traccia e così se la presero con cinque guardie carcerarie, il citato Giatti e Sartori, Bettini, Venanzio e Frizzi, arrestandoli e aprendo contro di essi una procedura disciplinare che si estese poi al dottore delle carceri, Brazzabeni, al cappellano Martini, al custode delle carceri Casati ed a tutto il personale addetto al servizio di esse. Il presidente della corte speciale e Tirelli, il custode delle carceri del castello, furono messi a riposo. Al cappellano fu interdetto l’accesso alla struttura. La guardia Frizzi fu condannata ad otto anni di carcere.
Felice Orsini era libero. Dovette tanto ad Emma Siegmund, che riuscì a corrompere i carcerieri, dovette tanto anche a Giuseppe Sugrotti, che gli fornì aiuto trovandolo con la gamba rotta e lo portò fuori modena sul suo carretto.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Fonte foto: dalla rete
Bibliografia: A. Portioli, La fuga di Felice Orsini dal castello di Mantova