La flotta di Sisto V

L’azione di papa Sisto V si caratterizzò, oltre che per la lotta al banditismo e per la politica monumentale e urbanistica celebrativa di una Chiesa militante e trionfante, anche per un deciso impegno nella costruzione di una flotta per combattere i barbareschi.

Parecchie volte la Santa Sede allestì delle flotte per combattere i turchi, non solo a Lepanto e non solo per difendere le coste dello Stato Pontificio dai corsari ottomani, ma il gonfaloniere, o vessillifero, non ebbe mai un suo pari sui mari. Lo Stato Pontificio, infatti, non annoverò mai un ammiraglio permanente, ne veniva nominato uno solo in corso di allestimento di una flotta. Di solito, in queste circostanze, al comando supremo veniva chiamato un cardinale. Durante tutto il Medioevo tale incarico fu, infatti, riservato sempre a cardinali – e tra essi eccelse Oliviero Carafa, zio di Paolo IV -, nel Cinquecento, invece, i cardinal camerlenghi, deputato ad assoldare i comandanti e gli equipaggi, oltre che ricorrere a galeotti da incatenare al remo, ricorsero spesso ai laici, il più noto dei quali fu uno dei protagonisti della Battaglia di Lepanto: Marcantonio Colonna.

E la più grande flotta allestita da un pontefice fu sicuramente quella di Pio V di Lepanto, ma Sisto V non volle essere da meno, curò personalmente la preparazione di una marina bellica contro i corsari e, con la bolla delle congregazioni del 22 gennaio 1587, creò anche la Congregatio pro classe paranda et servanda ad Status ecclesiastici defensionem una congregazione deputata ad amministrare correttamente la marina pontificia.

Il Guglielmotti scrive che il pontefice diede ai “Cardinali in numero cinque la balia sopra le galere in numero di dieci: e queste vogliamo che siano costruite, armate e mantenute con grandissima cura e fornita di ogni maniera di munizioni e corredi marittimi e militari; tanto che possiamo col loro presidio e coll’ajuto di Dio, frenare i ladroni; o almeno respingerli lontani dal nostro paese”. L’organismo andò quindi componendosi di cinque cardinali guidati dal genovese Antonio Maria Sauli ed il papa fissò per esso una spesa annua di centoduemilacinquecento scudi a cui l’Urbe contribuiva solo in parte – con dodicimila scudi annui -, al pari della Romagna, della Marca e dell’Umbria, il resto doveva essere fornito dalle altre provincie e dal clero.

Scorse così una squadra permanente di dieci triremi, tre di essi costruite nei cantieri papali e le restanti acquistate in Toscana, a Genova ed a Napoli.

Alla Marmorana, sul Tevere, fu fabbricata la capitana, battezzata San Bonaventura, in un nuovo cantiere, voluto proprio per l’occasione. Il varo della nave andò decisamente male. Era il 2 aprile del 1588 e, nello scivolare nelle acque del fiume, la nave deviò sbattendo contro una trave e danneggiandosi e causando un gran numero di contusi e ben cinque morti. La padrona, chiamata San Francesco, e un’altra galea, la Prima Sensile, furono realizzate invece a Civitavecchia. Gli altri triremi in dotazione della squadra navale pontificia erano la Santa Barbara, la San Giorgio, la Felice, la Pisana, la Santa Maria, la Santa Lucia e la San Gennaro. I comandanti furono tre gentiluomini romani: Lorenzo Castellani, imbarcato sulla capitana, Giampalo Orsini, a bordo della San Giorgio, e Maurizio Frangipane, sulla Pisana. Romano fu pure l’idrografo Bartolomeo Crescensi. Furono acquistati 130 schiavi a Malta, Segna, Fiume ed alla fine ogni triremo aveva a bordo ottanta marinai, cento soldati, duecentoventicinque rematori.

Scopo della flotta era pattugliare il Mar Tirreno innanzi alle coste laziali per avvistare eventuali navi corsare. Dopo due anni, però, la capitana già non era più atta a tenere il mare. Morto Sisto V, di flotte pontificie non se ne parlò più.

La breve stagione della flotta di Sisto V, affidata all’ammiraglio Orazio Lercari, aveva prodotto la cattura di una galeotta algerina che aveva partecipato al saccheggio di Patrica e che a bordo portava ancora dei cristiani fatti prigionieri. Degno di nota fu pure l’intervento nelle acque della Corsica, in supporto alla marina genovese, che portò alla cattura di dodici navi barbaresche. Lercari poi riuscì ad intercettare tre fuste tunisine che avevano risalito il Tevere e assalito dei bastimenti da carico per poi mettersi in fuga. In quella circostanza costrinse il nemico ad abbandonare un bastimento che aveva catturato. Dimessosi Lercari, fu sostituito da Francesco Grimaldi che fu inviato a Marsiglia per trasportarvi centomila scudi da consegnare al cardinale Enrico Gaetani. Nelle vicinanze di La Spezia la squadra pontificia sorprese tre galere barbaresche e le riuscìa catturare, conducendole a Genova. Fu questa la sua ultima impresa.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: A. Guglielmotti, Storia della Marina pontificia

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