La dittatura di Cesare
Cesare non abolì le vecchie magistrature repubblicane, ma dette vita ad una vera e propria monarchia di tipo orientale, un ostato cioè in cui il potere fosse tutto accentrato nelle mani di una persona, la sua, col titolo di dittatore a vita, un assurdo giuridico giacchè la dittatura nell’ordinamento romano era una magistratura d’emergenza, rigorosamente limitata nel tempo. Traiamo dall’opera “Le istituzioni politiche romane” di L. Homo, le seguenti riflessioni sulle caratteristiche della monarchia di Cesare.
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Innalzato alla suprema autorità dell’esercito, questo capo della democrazia ha in sé l’idea ben precisa che guiderà tutto il suo programma: la costituzione repubblicana è morta e la monarchia militare è ormai necessaria. Nel 49, Cesare entra in Roma dove resterà solo per una settimana. Il proconsolato della Gallia è scaduto. Legalmente egli non è più nulla, ma per una serie di conferimenti successivi egli realizzerà nelle sue mani quel potere personale che desidera e che considera indispensabile per la salvezza dello Stato. Durante la prima guerra di Spagna, una legge lo nomina dittatore; fin dal suo ritorno nella capitale prende possesso del suo incarico, ma non lo tiene che per undici giorni, il tempo di farsi eleggere al consolato dell’anno seguente. Nel 48 è console con P. Servilio Vatia Isaurico, e grazie a questo titolo, quale capo legittimo e ufficiale dello Stato romano, condurrà la guerra contro Pompeo. Dopo la vittoria di Farsalo che chiude definitivamente il conflitto in suo favore, si vota per lui tutta una serie di prerogative: diritto a presentarsi al consolato per cinque anni consecutivi, diritto di dichiarare la guerra o stipulare la pace senza l’intervento del popolo né del Senato, diritto di disporre delle province pretorie senza alcun sorteggio, di indicare al popolo i candidati da eleggere alle diverse magistrature, eccettuato il tribunato e l’edilità plebea, conferimento a vita della potestà tribunizia.
Infine una legge gli conferisce la dittatura, ma una dittatura allargata di tipo sillano, con potere costituente da un lato (dictatura reipublicae constituendae) e senza limiti di tempo, dall’altro. Nel 46, egli gestisce il consolato per la terza volta; dopo Tapso, viene nominato dittatore per dieci anni; lo si investe del potere censorio, senza collega, per tre anni, con il titolo di prefetto de i costumi, praefectus morum: riceve anche il diritto di designare direttamente tutti i magistrati, straordinari e ordinari.
Nel 45 è console per la quarta volta, ma ora senza collega, e cumula questa nuova carica alla dittatura che ha conservato. Nel 45, dopo Munda, il Senato gli conferisce il titolo di imperator, in forma definitiva; il popolo decide che da solo egli avrà il diritto di essere a capo degli eserciti, di arruolare truppe, di disporre delle risorse del tesoro pubblico. Lo si autorizza a mantenere il consolato per dieci anni e a designare lui stesso e senza elezioni tutti i magistrati, prerogative queste che egli rifiuta. Nello stesso anno, lo si nomina prefetto dei costumi a vita e gli si riconosce l’immunità tribunizia, non solo a Roma e nel raggio costituzionale di mille passi, ma per tutta l’estensione dello Stato romano. Nel 44, infine è console per la quinta volta e poco tempo prima della sua morte, la sua dittatura viene trasformata da decennale in dittatura a vita. Egli designa i magistrati incaricati di assegnare terre ai soldati di tutta l’Italia, dispone liberamente dei governi provinciali e prende posto in tutte le riunioni religiose. Aggiungiamo inoltre che fin dal 63, in qualità di pontefice massimo, è capo della religiose ufficiale romana ed esercita ogni privilegio materiale e morale che l’alta funzione gli conferisce.
Questi reali poteri si arricchiscono di relativi attestati d’onore e la progressiva adulazione pubblica non cesserà di allungarne la serie, anno dopo anno. Nel 46, dopo la vittoria di Tapso, diritto di prender posto in Senato su di un seggio curule fra i due consoli, qualora egli stesso, Cesare, non esercitasse questo mandato; diritto di dare il segnale dei giochi al circo, al posto dei consoli; diritto di far portare la sua statua sopra un carro da cerimonia con l’iscrizione “al semi-dio”; diritto di avere una scorta di settantadue littori al suo trionfo. L’anno seguente gli vengono conferiti nuovi onori: privilegio ci comparire ai giochi con l’abito del trionfo, la corona di alloro del trionfatore e gli stivali rossi degli antichi re di Alba: gli viene dedicata una statua nel tempo di Quirino, con la scritta “al Dio invitto”, Deo invicto, e una seconda in Campidoglio, presso quelle dei re, e vengono dichiarati festivi gli anniversari delle sue vittorie. In seguito il Senato fa ancora di più: gli si impone di portare sempre la toga trionfale e di sedere sul seggio curule; gli si conferisce il titolo di Padre della patria con il diritto di farlo incidere ufficialmente sulle monete, dopo il suo nome e gli altri titoli; gli si dedicano statue in tutti i templi di Roma e nei municipi; vengono offerte in suo nome spoglie opime a Giove Feretrio e si celebra una festa annuale per commemorare le sue imprese. Nel 44, infine, il Senato lo autorizza a portare l’abito degli antichi re; si sostituisce la poltrona curule con un seggio d’oro; si pregherà per Cesare e si faranno voti per la sua felicità; si crea per lui una terza confraternita di Luperchi, i Luperci Iuliani; il quinto mese dell’anno (Quintilis), quello della sua nascita, viene chiamato Iulio (luglio); con un’eccezione solenne si decide che avrà una sepoltura all’interno del pomerium; gli viene dedicato un tempio col nome di Giove Iulio, omaggio che del dittatore è ipostasi del Dio supremo di Stato, e una fiamma speciale è accesa per il suo culto. Cesare non è più soltanto un capo; si comincia, mentre è ancora vivente, a venerarlo come un dio.