La battaglia navale di Kunfida
Nel gennaio del 1912 la Guerra Italo-turca segnò un incredibile successo per la Regia Marina. Il Piemonte, comandato dal capitano di fregata Osvaldo Paladini, distrusse completamente le cannoniere ottomane che ancora rimanevano nel Mar Rosso, a Kunfida.
Come prima cosa superò il più gravoso dei problemi: scovare il nemico. Si sapeva che le cannoniere erano rintanate al di dentro del Banco delle Farisan ed il Piemonte le cercò lì, ma invano. Poco tempo dopo fu inviato alla ricerca delle cannoniere in una nuova zona, il lungo tracco che dalla costa araba da Gedda sino a Kunfida. Il Piemonte, con l’appoggio dei cacciatorpediniere Garibaldino ed Artigliere, entrò allora in acque dove mai si videro navi del suo tonnellaggio, intricati canali, insidiosi ancoraggi, e fu a Kunfida che scovò il nemico.
Il giorno 7 gennaio i due cacciatorpediniere precedevano di trenta miglia il Piemonte. Alle 13.30 il Garibaldino trasmise al Piemonte un telegramma chiaro: “Siamo in vista di Kunfida. Vediamo all’ancoraggio navi sospette”. Poco dopo scriveva: “Siamo stati attaccati dalle navi turche. Rispondiamo senza perdere contatto col nemico. Tira contro di noi anche una batteria da terra”. Intanto il Piemonte procedevae veloce affidandosi alle carte che davano maggiore garanzia di sicurezza. Si sapeva che l’oscurità avrebbe favorito la fuga delle cannoniere turche ma non si poteva rischiare di percorrere vie non scandagliate. Palladino aumentò la velocità più che potette e, a poco prima delle 16.00, finalmente giunse in vista dell’ancoraggio di Kunfida, davanti alle navi nemiche.
Erano otto, sette cannoniere ed un yacht, e continuavano il loro cannoneggiamento dei cacciatorpediniere italiani. A bordo del Piemonte fu alzata la bandiera di combattimento e la nave entrò nel campo di tiro. Iniziò le sue salve a circa 6000 metri. Il comandante, coadiuvato dall’ufficiale di rotta, il tenente di vascello Battaglia, manovrava in un mare seminato di pericoli. Una cannoniera si mise in moto cercando scampo verso sud, ma immediatamente fu presa di mira e raggiunta da una salva di sei colpi da 120, abbandonata dal proprio equipaggio alla disperata. Una seconda salve diede alla cannoniera il colpo di grazia. Cominciò a curvarsi sul lato sinistro poi poggiò il fianco sul fondo e rimase immobile mentre il Piemonte si avvicinava sempre più alla costa con altre salve che crivellavano di colpi le cannoniere turche. Una di esse bruciò avvolta in un fumo denso. Solo lo yacht fu risparmiato, ma con l’intenzione di catturarlo l’indomani, perché il tramonto annunciava l’oscurità.
In poco più di un’ora le cannoniere turche erano state messe fuori combattimento. Il tiro del Piemonte, sotto la direzione dell’ufficiale di artiglieria, tenente di vascello Volpe, era stato un successo; i cacciatorpediniere con i loro 76 avevano brillantemente cooperato all’azione.
La notte calò, il Piemonte si ancorò a 7000 metri dalla cosa mentre la cannoniera incendiata continuava a bruciare. Fu organizzata una ricognizione verso le 24.00. I nostri salirono a bordo di una delle cannoniere e ne portarono via bandiere e trofei di guerra, facendo ritorno sulla Piemonte verso le 2.00. L’indomani fu completata l’opera di distruzione. Gli scafi vennero demoliti con un fuoco concentrato e preciso. Si passò poi alla cattura dello yacht, preso a rimorchio dal Garibaldino. Con altre ricognizioni furono raccolti ancora trofei di guerra, cannoni, mitragliatrici, imbarcazioni, strumenti nautici e bandiere, tutto imbarcato sul Piemonte e trasportato a Massaua.
La potenza navale ottomana nel Mar Rosso era scomparsa.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia: Bibliografia: AA.VV., L’Italia a Tripoli. Storia degli avvenimenti della Guerra italo-turca